Il museo di Alessandria (IV secolo a.C.), le collezioni private di vari re e papi, la collezione che nel 1737 Anna Maria Ludovica de’ Medici donò ai Fiorentini che di fatto è stato il nucleo originale della Galleria degli Uffizi e il British Museum del 1753 sono stati i primi luoghi in cui vennero esposte delle collezioni, per lo più di opere d’arte. Tuttavia, è il Louvre, aperto a Parigi nel 1793, a essere considerato il primo museo inteso in senso moderno, aperto al pubblico.
Ebbene, al momento dell’apertura i reperti del Louvre risalivano a centinaia o addirittura migliaia di anni prima. Fino a quel momento il tempo era passato piano, gli oggetti e le mode duravano a lungo prima di diventare “roba da museo”.
Ma, proprio in quegli anni, iniziava al rivoluzione industriale che avrebbe di fatto provocato un accelerazione del tempo, un’accelerazione progressiva e costante che ai giorni nostri fa diventare reperti da museo oggetti con i quali siamo cresciuti e che avevano fatto parte anche della nostra quotidianità, non solo di quella delle generazioni che ci hanno preceduto. Basti pensare che le generazioni nate fino al 1990 – stiamo parlando, dunque, di solo trent’anni fa – sono venute al mondo in cui il personal computer non era ancora diventato un mezzo di massa, in cui non c’erano né il telefono cellulare, né internet per la gente comune. Poi, in poco tempo, siamo passati da un’era che per secoli era stata analogica alla presente era digitale, un’era in costante evoluzioni e i cui sbocchi, in virtù dell’affermazione repentina dell’intelligenza artificiale, sono del tutto imprevedibili.
Le ultime fasi dell’era analogica avevano visto la comparsa di ottimi prodotti tecnici la cui durata è stata breve poiché sono stati spazzati via dalle tecnologie digitali. A quelli che oggi hanno almeno quarant’anni è quasi come se fossero stati portati via gli oggetti attorno ai quali era ruotata la metà della loro vita ed è per questo che, rivederli, provoca non solo curiosità generica o intellettuale (come potrebbe essere la vista museale dei prototipi delle macchine per il volo di Leonardo da Vinci), bensì autentica emozione. Sarà forse per questo, per nobilitare il passare degli anni che investe noi stessi, che per gli oggetti usati, ma non vecchissimi, per distanziarsi da ciò che è vecchio o demodè, si usa il termine vintage, parola inglese derivata dal francese antico vendenge, che sta per vendemmia, una vendemmia che genera vini di qualità.
Ed è proprio su questo aspetto che hanno puntato i gestori del piccolo Museo Memo di Pola che non offre soltanto uno sguardo sul passato, ma lo fa su ciò che è stata la nostra vita di ieri e di l’altro ieri. Forse potrebbe anche essere sconcertante il fatto di scoprire che una parte della nostra vita appartiene già – e questo è avvenuto in tempi velocissimi – al mondo dei musei, ma ciò provoca al contempo una nostalgia agrodolce dall’effetto balsamico.
Un bellissimo omaggio alla stampa analogica
All’interno di questo interessante museo, il superamento del confine tra il nostro mondo digitale o quello analogico lo avvertiamo osservando il bellissimo design del calcolatore Digitron prodotto a Buje, l’essenzialità della macchina da scrivere TBM della Unis di Bugojno in Bosnia, l'eleganza del giradischi Tosca della RIZ – ELAK di Zagabria. Oppure quando ci rendiamo conto che i due volumi del mitico “Svijet oko nas” erano stati il nostro Google ante tempora.
Ma lo avvertiamo ancora di più quando passiamo alla parte del museo allestita di recente, quella dedicata alla stampa analogica. Infatti il passaggio della lettura del giornale stampato su carta ai portali internet, ma anche (fortunatamente di meno) la migrazione dal libro chiuso da due copertine agli e-book, sono due fortissimi simboli di un cambiamento epocale.
La zona della stampa analogica è stata sistemata nella zona più profonda del museo ed è venuta a sostituire il precedente allestimento fatto di mobili, pentolame e accessori per la casa che di fatto era diventati anche fonte di cattivi odori. Questa zona è gestita dall'associazione „Slovo na slovo“ di Davor e Željka Špoljarić che in quest'occasione è partner dell'associazione „Mediteran“ che gestisce il museo.
„La maggior parte dei macchinari esposti proviene da donazioni“, ci spiega Davor Špoljarić che per tutta la vita ha lavorato in tipografia „che sono giunte da parte dell'ex stamperia Otokar Keršovani di Pola, dalla stamperia di Albona, ma anche da Zagabria e da Zaprešić, i colori stampa da Vinkovci, l'armadio per lettere da stampa da Varaždin e la lama tagliacarte da Čakovec“.
Mentre ci anticipa che verranno organizzati mini-laboratori istantanei per i visitatori, durante i quali questi potranno maneggiare le macchine da stampa e i caratteri in piombo, prepara la composizione tipografica di "Istra24". E mentre lo fa, oltre ad avvertire il suo entusiasmo e la sua voglia di trasmettere quel tipo di sapere che ci ha consentito di descrivere e di disegnare il mondo, ci rendiamo conto che la magia della stampa è un’abilità che non va assolutamente perduta e che è ancora in grado di produrre bellezza nel mondo contemporaneo.
„Allestiremo anche un mostra dei lavori del compianto Predrag Spasojević“, ci ha annunciato Špoljarić, „il designer che ha prodotto tantissimi materiali funzionali alla promozione dell'immagine di Pola, sia per l'ente turistico, sia per il Pula Film Festival che tra l'altro figura tra i donatori“.
„L'allestimento del comparto dedicato alla stampa“, ci spiega lo storico David Orlović, curatore del museo per conto dell'associazione Mediteran „è in realtà il secondo passo che abbiamo fatto in direzione della tecnica. Il primo lo avevamo compiuto nel 2023, quando, dopo un periodo di chiusura, il museo è stato riaperto e abbiamo deciso di dare maggior spazio alla tecnica e ai vecchi dispositivi. Ora, invece, abbiamo voluto metter l’accento proprio sul confronto tra mondo analogico e mondo digitale”. Nato dalle donazioni di molti cittadini, il museo accetta ancora oggetti da parte dei cittadini, ma, causa l’impossibilità di esporre tutto in uno spazio relativamente piccolo, lo fa in misura minore e più selettiva.
Prima di entrare nel comparto dedicato alla stampa, l'attenzione del visitatore viene catturata da mille parti. Ai Polesani non potranno sfuggire il dipinto dell'Arena del mitico Demir, le fotografie dei giovani ai Giardini negli Anni Settanta e Ottanta, la cassetta gialla delle Poste jugoslave, gli esemplari originali dei giornalini per ragazzi „Modra Lasta“ e „Il pioniere“, la bacheca dedicata alla scuola Centar (ex Moša Pijade), mentre sono interessanti per tutti, indipendentemente dalla provenienza, la Seicento gialla, il computer Commodore 64, l'angolo dei bambini con giocattoli vintage che, ci dice Željka Špoljarić, „alla recente Notte dei musei è stato preso d’assalto più dai genitori che dai loro figli”.
Si ricorderà che il museo Memo è stato aperto nel 2018 su iniziativa dell’attuale sindaco di Pola Filip Zoričić (allora preside del Ginnasio di Pola) tramite l'associazione „Mediteran“ che poi ha lasciato, onde evitare conflitti di interesse, nel momento dell'elezione a sindaco. Il museo opera al numero 4 di via Scalier in uno spazio di circa 200 metri quadrati di proprietà della Città di Pola e che viene affittato per una cifra simbolica. D’estate è aperto ogni giorno, mentre fuori stagione la visita va concordata chiamando il numero di telefono che compare sul sito del museo.