Romano Bosich è nato a Pola nel 1950. Per sei anni la città dell’arena è stata tutto il suo mondo; la casa, gli amici, l’ammirazione per il fratello maggiore Renato, l’amore per nonna Agata. Un mondo che si capovolge nel 1956 quando i suoi genitori, seguendo l’esempio di altre decine di migliaia di “polesani”, abbandonano per sempre la propria città e se ne vanno in Italia o più lontano ancora.
Inizialmente Romano non comprese quella scelta, i primi mesi in Italia furono per lui un periodo di sofferenza, anche di imbarazzo per una certa inadeguatezza di costumi e di lingua che lo distinguevano dai nuovi compagni.
Ma ciò durò poco. Crescendo, Romano diventa italiano tout court, vive in Piemonte (ora in Sicilia), si costruisce una bella carriera professionale internazionale, l’Istria scompare dall’orizzonte dei suoi interessi. Addirittura, quando torna in Jugoslavia lo fa quasi da semplice turista, preferisce scoprire la Dalmazia e i Laghi di Plitivice.
Ma, c’è un “ma”. Citando il titolo del libro di un altro polese esule, Roberto Stanich, “l’imprinting dell’Istria” Romano ce l’aveva dentro. Tutto il suo mondo interiore era nato e si era plasmato a Pola. Un mondo che sarebbe stato rimosso a lungo in superficie, ma che si riproporrà in tutta la sua prorompenza nell’età matura. Infatti, quando torna a visitare a Pola nel 2018, viene investito dal grosso carico di emozioni che giunge dalla riscoperta dalla sua “polesanità”. Nel giro di pochi anni ne nascerà un libro intitolato “Non capivo” edito nel 2022 da Luglio editore di Trieste.
La letteratura dell’esodo
Con questo titolo, Romano Bosich si inserisce nel filone letterario liminale noto come “letteratura dell’esodo” in cui, spesso con quale nota polemica rispetto alle interpretazioni ufficiali della storia, domina la componente nostalgica e memorialistica.
Rimasto per lungo tempo un tabù, un tema da evitare, negli ultimi trent’anni l’esodo degli Italiani dall’Istria dopo la fine della Seconda guerra mondiale è diventato un topos letterario sfociato tanto in ottimi romanzi quanto in preziosi testi di recupero della memoria.
La strada aperta in modo ancora ineguagliato – almeno in quanto a successo di pubblico – da Fulvio Tomizza (Umaghese vissuto a Trieste) con “Materada” e “La miglior vita”, è stata solcata anche da Anna Maria Mori (di Pola, diventata a Roma una famosa giornalista; l’altrettanto nota Rossana Rossanda di Promontore sull’esodo non ha mai scritto nulla) con il suo libro “Nata in Istria” e da altri esuli dall’Istria quali Marisa Brugna (“Memoria negata”), Enrico Miletto (“Con il cuore negli occhi”), Eleonora Manzin (“Tempo di lupi”), Wally Mirella Poldemengo (“A Rovigno ho lasciato il cuore”), Marisa Madieri (“Verde acqua”), Diego Zandel (“Una storia istriana”), Roberto Stanich (“L'imprinting dell'Istria: ciacole de una volta”) e tanti altri.
Il tema è stato fatto proprio anche dai letterati provenienti dalla file degli Italiani “rimasti”, primi fra tutti i polesi Nelida Milani Kruljac (“Una valigia di cartone”), Ester Barlessi (“Una famiglia istriana”) e Claudio Ugussi (“Una città divisa”), ma anche i fiumani Osvaldo Ramous (“Il cavallo di cartapesta”) ed Ezio Mestrovich (“Foiba in autunno”).
C’è inoltre lo spendido “Bora”, libro scritti a quattro mani dall’esule Anna Maria Mori e dalla “rimasta” Nelida Milani Kruljac.
Le ragioni e i dolori degli altri
Il libro di Romano Bosich è uno di quelli che invita il lettore a mettersi per un attimo nei panni del protagonista per cogliere tutto il disagio che si genera con lo sradicamento da casa. Certo, come in tutti libri con un grosso tratto calligrafico memorialistico e autobiografico, la memoria privata, per quanto dolorosa, poiché inevitabilmente angusta, a volte non coincide con interpretazioni storiografiche interessate al più ampio contesto storico del momento (ad esempio: considerare "le ragioni e i dolori degli altri”); tuttavia le singole esperienze personali, come questa di Romano, allargano il fascio di luce proiettato su vicende storiche che anche dopo settant’anni generano malintesi e controversie e hanno dunque ancora bisogno di essere foraggiate da altri dati, esperienze, punti di vista.
I ricordi, imperniati sulla semplice nostalgia ma anche sugli interrogativi sul “chi sono”, nel libro di Romano Bosich travalicano la dimensione privata e diventano patrimonio comune di una storia che deve essere ancora raccontata agli altri, in questo caso dagli Italiani ai Croati dell’Istria; ma vale anche il contrario, con il vissuto traumatico dei Croati che dovrebbe diventare patrimonio della coscienza degli Italiani dell’Istria, esuli compresi.
Il dramma dello sradicamento da casa
Romano Bosich ci racconta di un trauma, di un castigo subìto da un bambino senza colpe, svela le mille difficoltà incontrate da tutta la famiglia nel campo profughi di Tortona, ci fa tirare un sospiro di sollievo quando veniamo a sapere che il trasferimento a Novi Ligure (sempre in Piemonte) gli consente di recuperare i cocci frantumati della sua vita per tornare a vivere, ci stimola a riaccoglierlo fra le braccia (specie se siamo lettori rimasti in Istria) quando lo vediamo riscoprire con dolore gioioso le proprie radici.
Quelli del treno che abbandona Pola, della vita nel campo profughi e del ritorno della “conversione” nella sua città natale (quasi una rivelazione sulla strada per Damasco) sono i passi più intensi del libro: “Sono frastornato e non riesco a comporre pensieri”, scrive Bosich descrivendo il suo nuovo incontro con Pola, “su quel blocco di pietra, davanti all’Arco dei Sergi, mi rivedo seduto. Quando? Non lo so, ma so che ero bambino, mi ritorna il freddo alle cosce perché indossavo i pantaloncini corti... un caos totale di pensieri e immagini..legate ai ricordi..,guardo mia moglie che mi capisce”.
Stando alle anticipazioni, il libro “Non capivo”, che si fregia della prefazione di Romano Sauro (nipote di Nazario Saurio), verrà presentato nel corso del prossimo febbraio presso le Comunità degli Italiani di Pola, Gallesano e Rovigno.