Ventiquattro

PREMIATA A ISTRIA NOBILISSIMA

ELVIA NACINOVICH, SPLENDIDA ATTRICE E FINE POETESSA "Il dialetto, prezioso come un abito antico che ritrovi in soffitta, consente di comunicare meglio, ne sono convinta. È essenziale, immediato"

Con la vincitrice del premio "Osvaldo Ramous" nella categoria Poesia in dialetto con la silloge “Doute le fimene ch’i soin stada” - la notissima primattrice del Dramma Italiano di Fiume - abbiamo parlato della sua carriera sul palscocenico, ma anche dei suoi versi in istrioto. Ci ha detto che "la lingua rispetto al dialetto è un fornitissimo supermercato e noi, abituati alla vastità dell’offerta, andiamo in crisi se non troviamo subito il sinonimo o l’espressione più calzante. A volte ci vogliono giorni per ripescare dalla memoria quella parola che ti sfugge ma alla fine, da qualche parte e nei modi più impensati, arriva. Basta non avere fretta". *Dopo l'abbandono delle scene Elvia Nacinovich si sta ricavando un posto di rilievo pure in seno alla letteratura italiana istroquarnerina


 
14 min
Silvio Forza
foto: Roni Brmalj

Con la vincitrice del premio "Osvaldo Ramous" nella categoria Poesia in dialetto con la silloge “Doute le fimene ch’i soin stada” - la notissima primattrice del Dramma Italiano di Fiume - abbiamo parlato della sua carriera sul palscocenico, ma anche dei suoi versi in istrioto. Ci ha detto che "la lingua rispetto al dialetto è un fornitissimo supermercato e noi, abituati alla vastità dell’offerta, andiamo in crisi se non troviamo subito il sinonimo o l’espressione più calzante. A volte ci vogliono giorni per ripescare dalla memoria quella parola che ti sfugge ma alla fine, da qualche parte e nei modi più impensati, arriva. Basta non avere fretta". *Dopo l'abbandono delle scene Elvia Nacinovich si sta ricavando un posto di rilievo pure in seno alla letteratura italiana istroquarnerina

Elvia Nacinovich è di certo uno dei personaggi più noti della Comunità nazionale italiana di Croazia e Slovenia. A partire dal 1973 è stata una delle colonne portanti del Dramma italiano operante presso il Teatro nazionale Ivan Zajc di Fiume, essendone la primattrice per decenni. Talentuosa, poliedrica, autentica e coinvolgente nei ruoli drammatici, spontanea e divertita in quelli comici, ha fatto ridere e piangere d’emozione il pubblico che ha avuto modo di vederla recitare sui palcoscenici non solo dei nostri teatri, ma anche su quelli delle varie Comunità degli italiani di tutta l’Istria.

foto: Roni Brmalj

Oltre a regalarci un centinaio di ruoli in seno al DI, ha collaborato pure con il Dramma croato e la TV, ha lavorato, sempre in seno al teatro fiumano, anche come regista e traduttrice dal croato all’italiano (anche ”L’avaro” di Držić). Inoltre, ha scritto e diretto i pezzi “…e poi la luna ci ha messo lo zampino” e “Rumori in soffitta”. Tra i vari premi ricevuti, vanno segnalati il Premio “Mediteran” (Novi list) come migliore attrice nel duplice ruolo di Elisabetta e Kennedy nella "Maria Stuarda" al Festival delle piccole scene del 1997 e il Premio “Zlata Nikolić” – migliore attrice della stagione 2002/2003 nel ruolo di signora Frola nella messa in scena "Così è(se vi pare)" di Luigi Pirandello.

Dopo alcune affermazioni al concorso Istria Nobilissima nella categoria poesia, oggi non si può fare a meno di notare che Elvia Nacinovich si è ricavata un posto di rilievo anche in seno alla letteratura italiana istroquarnerina. Lo ha fatto nel campo della poesia, in quella dialettale e, nata Malusà, lo ha fatto scrivendo del dialetto istrioto di Dignano, il borgo in cui è cresciuta prima di trasferirsi a Fiume. Ma scrive anche in Istroveneto,  dialetto in cui ha scritto le poesie che le hanno portato il Premio letterario “Raìse” di Arquà Polesine.

Il premio più recente è l'Osvaldo Ramous, per la poesia dialettale, vinto all’interno dell'ultima edizione di Istria Nobilissima per la raccolta “Doute le fimene ch’i soin stada” (“Tutte le donne che sono stata”), dal chiaro riferimento alla sua esperienza di attrice. Ruoli femminili ai quali esprime la propria riconoscenza nei bellissimi versi … e mei a gile al me grassie / la me riconossensa / par doute le volte ch’i ie squaià / al me dulour in le so lagreme, / parchei del so coraio e de la so sagissa / ꭍi impastada la me forsa, /par vime imparà a reidi / anca de lundi  no sulo de dumènega  (…e io a loro il mio grazie/ la mia riconoscenza / per tutte le volte che ho sciolto il mio dolore / nelle loro lacrime / perché del loro coraggio e della loro saggezza / è impastata la mia forza / per avermi insegnato a ridere / anche di lunedì non solo di domenica.

Con Adelia Biasiol Dignano ha avuto una sensibile poetessa che ha scritto, tuttavia, solo in italiano standard. Ma per quel che riguarda il dialetto, cccanto a Loredana Bogliun Debeljuh e Lidia Delton, Elvia Nacinovich va ora considerata a tutti gli effetti quale la terza poetessa Dignanese che con le sue poesie conserva e nobilita l'istrioto. E la sua anima di poetessa, che sa guardare la vita con occhi diversi, collegati direttamente al cuore, è venuta a galla anche in questa intervista.

foto: Roni Brmalj

Nell’assegnarle il premio, nella sua motivazione la commissione giudicatrice ha descritto le sue poesie in questo modo: “Ritmo poetico che scandisce immagini del passato e del presente di forte introspezione. L’uso del dialetto istrioto fa da corollario alla poesia del senso della vita”. Tuttavia, anche scrivendo in italiano letterario si possono scandire “immagini del passato e del presente di forte introspezione.” Come mai ha scelto il dialetto?

Sono anni che mi pongo la stessa domanda e ancora non ho trovato una risposta che mi soddisfi del tutto. Forse lo faccio perché è l’unico modo che ho per (illudermi di) tenere in vita sto favelà melodeius, prezioso come un abito antico che ritrovi in soffitta e, intuisci che vestirlo consentirà alla tua anima di mettersi a nudo.

 "E poi è c’è il ritmo, se assecondi il ritmo del dialetto è già quasi poesia"

Magari il dialetto consente di comunicare qualcosa di più, meglio o diversamente rispetto alla lingua standard? E, di contro, in cosa è o può essere limitativo?

Sì, il dialetto consente di comunicare meglio, ne sono convinta. È essenziale, immediato, le parole hanno una grande forza evocativa e anche il non detto lascia poco spazio alle ambiguità.  E poi è c’è il ritmo, se assecondi il ritmo del dialetto è già quasi poesia. Anche se poi le cose sono un po’ più complicate di così. (Per fortuna, perché non mi piacciono le cose semplici). Direi che l’unico limite è la fretta. La lingua rispetto al dialetto è un fornitissimo supermercato e noi, abituati alla vastità dell’offerta, andiamo in crisi se non troviamo subito il sinonimo o l’espressione più calzante. Certo, se mi occupassi di tecnologia avrei desistito già alla parola “computer”. I sentimenti invece sono universali e immutati da che uomo è uomo. Vuoi che non si trovi un termine, un’espressione dialettale per descrivere l’amore, la rabbia o la paura? A volte ci vogliono giorni per ripescare dalla memoria quella parola che ti sfugge ma alla fine, da qualche parte e nei modi più impensati, arriva. Basta non avere fretta. E se proprio non riesci a trovare quel particolare colore, puoi optare per il bianco e nero che a volte è anche più efficace.

"Poi, si sa, i figli crescono, le mamme imbiancano, l’insonnia incalza e tornare a scrivere diventa quasi un percorso obbligato"

Dopo una carriera sul palcoscenico, lei sta ora dimostrando il proprio talento valore anche come poetessa. Iniziare a scrivere in versi è stato una specie di sbocco evolutivo naturale o qualcosa che in lei è sbocciato all’improvviso?

In realtà ho cominciato a scrivere versi molto prima di salire su un palcoscenico. L’ho fatto anche con qualche successo, fino a quando sono arrivati i figli. A quel punto ogni momento libero era dedicato a loro. Erano loro la mia poesia. Oltretutto l’ispirazione si presentava di solito quando dovevo fare i lavori domestici più antipatici, avevo quindi il sospetto che si trattasse di pigrizia mascherata e, per un lungo periodo, l’ho proprio bandita dalla mia vita. Poi, si sa, i figli crescono, le mamme imbiancano, l’insonnia incalza e tornare a scrivere diventa quasi un percorso obbligato.

Nella poesia “Gambeiamento de cleima“ (“Cambiamento climatico”) lei scrive: “Tei vidi anca sulo, Deio beato  / al caꭍein ch’a iò cumbeinà,  / vula ch’a’nde iò menà / l’eletta stirpe di Noè.” (lo vedi da te, Dio beato / il casino che ha combinato / dove ci ha portati / l’eletta stirpe di Noè.)”. Dobbiamo leggere questi versi come un segnale d’Insoddisfazione per il mondo attuale e la società contemporanea?

Mi fa star male il pensiero che l’uomo, l’essere che con la sua intelligenza ha saputo creare cose mirabili, non si renda conto di stare segando il ramo su cui è seduto, come l’ultimo dei cretini. Mi viene quindi il dubbio che esista davvero un dio, al quale siamo sfuggiti di mano mentre tentava di plasmarci a sua immagine e somiglianza. Un dio che voleva clonare la perfezione e ha sbagliato i suoi conti, come l’ultimo dei cretini. E allora, con molto garbo, divento irriverente e me la prendo con lui.

Rimaniano su una frequenza simile e vediamo questi versi. “I ꭍarè par mar / par vidi speciade in altri le me pagoure  / e insembro inꭍignasse a vèinsile, / par magnà, cantà, bes’cemà / in altre leingue ch’a la meia, / par daghe del tei a le stile  / e quila peioun sestùꭍa / ciamala cu’l to nom. (Andrò per mare / per vedere specchiate in altri le mie paure / e insieme ingegnarci a vincerle, / per mangiare, cantare, imprecare / in altre lingue che la mia, / per dare del tu alle stelle / e quella più carina / chiamarla col tuo nome.)”, Mi pare di leggere la paura, ma aI contempo la volontà di affrontare il mondo “fuori”. E poi c’è questo riferimento alle lingue, “altre lingue che la mia”.

Esattamente, bisogna avere il coraggio di superare le proprie Colonne d’Ercole, i pregiudizi e andare incontro all’altro, per scoprire quanto ci rendano simili le nostre paure e le nostre fragilità. Ma sarà necessario imparare ognuno la lingua dell’altro (che non è fatta solo di parole), per conoscersi davvero, crescere, ampliare la visuale di cui disponiamo. Tutto inizia quando ti accorgi che muri e muretti non sono elementi del paesaggio ma stanno diventando parte della tua struttura mentale.  Allora il mare, con la vastità dei suoi orizzonti, appare come l’unica via di fuga. E qui inizia il viaggio. E qui io mi fermo perché, luci, ombre, allusioni del verso, devono restare tali, o si rischia di svilire tutto. Sono dell’avviso che le poesie, come le barzellette, non vadano spiegate. O funzionano per la loro immediatezza o è meglio passare alla prossima.

"Bisogna avere il coraggio di superare le proprie Colonne d’Ercole, i pregiudizi e andare incontro all’altro, per scoprire quanto ci rendano simili le nostre paure e le nostre fragilità. Ma sarà necessario imparare ognuno la lingua dell’altro (che non è fatta solo di parole), per conoscersi davvero, crescere, ampliare la visuale di cui disponiamo"

Alcuni versi della sua poesia “Aria del me paiꭍ” (“Aria del mio paese”) dicono Riconoscerei alla cieca / l’aria del mio paese / Riconoscerei alla cieca / la gente del mio paese. Il suo paese è Dignano, un tempo nota per i tanti artigiani, mentre oggi in via Merceria, la Cal nova, quasi tutti i negozi sono chiusi. Lei stessa, nella poesia “Deignan d’i caleigheri” (“Dignano dei calzolai”), scrive “non trovi un luogo dove comperare un fiore da portare al cimitero (No ti iè vula crumpà oun feiur pa’l simiterio)”. Cosa ci è capitato?

Non lo so, ma azzardo una risposta. Secoli di storia (avversa) hanno fatto di noi dei rassegnati a rassegnarsi.

Dignano - foto: Manuel Angelini

La poesia che dà il titolo all’intera silloge “Doute le fimene ch’i soin stada” (“Tutte le donne che sono stata”) - serve, rigeine, sasseine (serve, regine, assassine) - è un chiaro riferimento alla sua lunga carriera di attrice. Anche se i versi “in pounta de peie o a culpi de scouria / me iò traversà l’anema / lassando ognidouna oun’impronta” (“in punta di piedi o a colpi di frusta / mi hanno attraversato l’anima  / lasciando ognuna un’impronta”) anticipano in parte la risposta alla mia domanda,  desidero comunque chiederle se abbia mai avvertito il rischio, o il privilegio, che il fatto di interpretare così tanti personaggi avrebbe potuto condizionare, o addirittura cambiare, anche la sua personalità e i suoi valori?

Fare il mestiere che ami e continuare ad amarlo per tutta la vita è un privilegio. Ma in che cosa consiste il mestiere dell’attore? E un personaggio, lo si costruisce o gli si dà vita? Sono due fasi dello stesso processo che sfocia nella simbiosi: il personaggio si regge sulle tue gambe, respira con i tuoi polmoni mentre tu, attore, ragioni con la sua testa, vivi le sue emozioni, che ti costano dolore vero, mentre il pubblico è convinto di veder piangere il personaggio. Ovvio che un tale coinvolgimento non si esaurisca automaticamente con la fine delle repliche. Quello che impari facendo l’attore è che le potenzialità, le capacità di reinventarsi che ognuno di noi possiede, sono davvero tante. Non solo, ma fa bene a tutti cambiare pelle ogni tanto, altrimenti perché esisterebbe il Carnevale?

C’è qualche personaggio che magari ha voluto prendere come modello pure nella sua vita privata? O forse ha preso qualcosa da ognuno di essi?

Devo ammettere che non tutti hanno lo stesso impatto. È difficile fare una graduatoria ma senza fare nomi metterei al primo posto quelli che mi hanno costretto a ridere anche quando non ne avevo voglia. E poi ci sono due personaggi, non a caso realmente esistiti, due donne forti, carismatiche, delle quali ho subito il fascino fin dalla prima lettura e sono, Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Callas. Da loro ho rubato molto.

"Quello che impari facendo l’attore è che le potenzialità, le capacità di reinventarsi che ognuno di noi possiede, sono davvero tante"

Anche nella poesia “Comedianta” (“Commediante”), il modo in cui, “con più scarsa considerazione”, la chiamava sua madre in relazione al sua talento già riconosciuto da gente del mestiere, il tema è il teatro. Ci racconta qualcosa dei suoi esordi e dei momenti salienti della sua carriera in seno al Dramma Italiano.

Gli inizi non sono stati facili. Ero al settimo cielo, a Trieste il saggio finale era andato bene, al Dramma avevo superato l’audizione, stavo realizzando il mio sogno. Ma con l’inizio delle prove, sono cominciati i problemi. Recitare accanto a quelli che per me erano dei mostri sacri mi metteva in soggezione, mi bloccava. Ero goffa, stonata, impacciata, una frana. Il fatto che tutti fossero gentili e prodighi di consigli non migliorava la situazione. Fino a che il regista Beppe Maffioli, un omone di centoventi chili, fermò la prova e, in un dialetto molto fiorito, me ne disse di tutti i colori. Punta sul vivo, ho reagito dimostrandogli quello che sapevo fare. Era quello che voleva. In seguito ho lavorato con tanti, validissimi registi, ai quali devo molto, ma se non ci fosse stato quel gigante buono, forse la mia carriera non sarebbe mai decollata.

Ad un certo punto cala il sipario, gli applausi tacciono e il pubblico esce dal teatro. Come si sente un attore in quel momento?

Dipende tutto da come reagisce il pubblico, per cui le sensazioni variano dall’euforia allo sconforto. E quando cala il sipario sull’ultima replica avverti un senso di vuoto, ti senti orfano.

Poesia e teatro. Cent’anni fa erano sinonimo di cultura e di prestigio sociale. Sembra che oggi non sia più cosi…

Altri tempi, oggi a contendersi il prestigio sono influencer e cuochi stellati. Ma la cosa non turba i miei sonni. Al prestigio non ci tengo, alla popolarità men che meno. Quando ho potuto, mi sono sempre sottratta a conferenze stampa e a serate letterarie, ben felice di tornare nell’anonimato a riflettori spenti. La mia unica aspirazione era quella di vivere decorosamente del mio lavoro godendomi la famiglia. Ci sono riuscita e ne sono orgogliosa.   

"Sono dell’avviso che le poesie, come le barzellette, non vadano spiegate"

La poesia potrebbe essere vista anche come una forma espressiva che ci impone di fermarci almeno per un momento, come un voluto rallentamento razionale della velocità irrazionale alla quale oggi procede il mondo?

Non posso che essere d’accordo. Infatti la poesia è stata definita (non so da chi) “un nobile rallentamento”.  Temo però, che chi è disposto a rallentare, tenda già di suo a un’andatura non troppo sostenuta, mentre tentare di convertire alla poesia quelli che vanno sparati è tempo perso, perché per loro è tempo perso.

Com’è l’Istria vista da un’istriana come lei, vissuta per la maggior parte della sua vita a Fiume?

Sono un’Istriana trapiantata a Fiume per amore del teatro, grazie al quale ho girato l’Istria in lungo e in largo per anni, sentendomi un po’ turista a casa mia. Tornarci è sempre un’emozione e, anche se a volte faccio fatica a riconoscerla, la sua gente è ancora la mia gente. In realtà quando viaggio tra Fiume e l’Istria, indipendentemente dalla direzione, sto sempre tornando a casa. Proprio durante questi viaggi mi capita di constatare, con disappunto, che ancora oggi, per vedere la scritta “Fiume” sui cartelli stradali bisogna andare in Istria.

Nel 2022, dopo qualche anno dal ritiro dalle scene, con Bruno Nacinovich e Stefano Surian ha recitato nello settacolo “Lockclown”. Come si è sentita nel trovarsi di nuovo sul palcoscenico?

Ho provato una gioia infantile.

Con il marito e collega Bruno Nacinovich in "Lockclown" - foto HNK Ivan Zajc

Com’ è cambiata la Comunità nazionale italiana dell’Istria e del Quarnero nel periodo che va dal momento in cui lei ha interpretato il suo primo ruolo fino al momento in cui, quarant’anno dopo, si è ritirata in pensione?

Difficile dirlo, intanto sono un po’ più vecchia, non sono quaranta ma quarantacinque gli anni di onorato servizio, più cinque di fuori servizio. A me pare che non sia cambiato niente, basta vedere il nostro deputato al Sabor.  Scherzi a parte, c’è ancora tanto fermento in seno alla CNI, tanta gente capace, tenace che si fa in quattro per sopperire alla scarsità del numero. È quello il punto dolente, tremo ad ogni censimento (a parte la soddisfazione di aver visto incrementato il numero degli Italiani a Viškovo del 400%, quando la fam. Nacinovich vi si è trasferita una ventina d’anni fa). 

"Fare il mestiere che ami e continuare ad amarlo per tutta la vita è un privilegio"

E com’è cambiato, nello stesso periodo, il Dramma italiano?

Il Dramma è cambiato in modo così radicale che è quasi impossibile fare paragoni. Dirò solo che il rapporto con il dialetto si è ribaltato completamente. Se una volta mettere in scena un Goldoni era garanzia di successo, oggi è quasi un rischio. Per la maggioranza dei ragazzi, il dialetto è una lingua straniera.  C’è una cosa molto positiva però da sottolineare, il livello artistico della compagnia non era mai stato così alto. Non ci sono anelli deboli, sono tutti ma proprio tutti bravi, talentuosi, preparati, affiatati. Insomma, è una vera goduria vederli recitare. Da pubblico, non potrei chiedere di meglio.   

In una società che cambia, cambia velocemente anche la lingua. I nostri giovani che, sono il futuro della CNI, hanno ancora bisogno dei nostri dialetti?

Secondo me è fondamentale per la formazione e l’affermazione della propria identità. Ma di questo devono essere convinti i genitori. Per me il dialetto è innanzitutto la lingua degli affetti e non riesco a capire quei genitori che si rivolgono ai figli in una lingua diversa da quella con la quale sono cresciuti. Eppure le cose sembrano evolvere in questa direzione. Bruta me la vedo se qualche influencer no buta una bona parola. Anche perché semo ꭍa al punto che i stessi stati xe preocupadi per la salute de la propia lingua nassional.


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