Ventiquattro

È STATO UCCISO BRUTALMENTE 50 ANNI FA

HA SCRITTO ANCHE SULL’ISTRIA E SU FASANA: Pier Paolo Pasolini, il controverso scrittore e “intellettuale scomodo” il cui pensiero è ancora oggi un invito a preservare una coscienza critica viva

Alla Fiera del Libro di Pola si parlerà del libro Caro Pier Paolo della nota scrittrice italiana Dacia Maraini, una serie di testi scritti in forma epistolare dedicati a Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi scrittori e intellettuali italiani del XX secolo. È questa l’occasione per far conoscere più da vicino anche in Croazia un intellettuale la cui riflessione è ancora oggi di grande attualità


 
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Silvio Forza
foto: archivioluce

Alla Fiera del Libro di Pola si parlerà del libro Caro Pier Paolo della nota scrittrice italiana Dacia Maraini, una serie di testi scritti in forma epistolare dedicati a Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi scrittori e intellettuali italiani del XX secolo. È questa l’occasione per far conoscere più da vicino anche in Croazia un intellettuale la cui riflessione è ancora oggi di grande attualità

All’interno del programma “Storie italiane” della 31-esima edizione della Fiera del libro in Istria, il 3 e il 4 dicembre prossimi sarà a Pola la notissima scrittrice italiana Dacia Maraini. Autrice di 22 romanzi, di una ventina di raccolte di racconti e di altrettanti lavori teatrali, ma anche di dieci collane di poesie e di una trentina di testi di saggistica, ha vinto oltre trenta premi e riconoscimenti, tra i quali i prestigiosi premi Strega e Campiello. Dai suoi testi, o da soggetti di cui è lei l’autrice, sono stati realizzati 12 film, uno dei quali, L’amore coniugale (1970) è stato diretto da lei stessa. Sempre attenta ai temi della condizione femminile, della libertà e della giustizia sociale, va ricordata specialmente per i romanzi La lunga vita di Marianna Ucrìa (Premio Campiello 1990), Bagheria, Donne in guerra, Buio (premio Strega 1999) e Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza.

Dacia Maraini, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini

Alla Fiera del libro a Pola si parlerà del suo libro Caro Pier Paolo, una serie di testi scritti in forma epistolare dedicati a Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori letterati e intellettuali italiani del Novecento. Nel periodo (1962 – 1978) in cui era stata la compagna di un altro grande scrittore italiano, Alberto Moravia, aveva stretto a Roma una profonda amicizia con Pasolini, di cui ammirava il talento letterario e cinematografico, ma anche la sua tensione etica. “Pier Paolo era alla perenne ricerca della purezza, sociale e collettiva, ma anche di un modo di stare al mondo innocente, ormai scomparso in Europa”, aveva detto di lui in un intervista.

Alberto Moravia, Dacia Maraini i Pier Paolo Pasolini - foto: corriereobjects

Dacia Maraini aveva lavorato con Pasolini alla sceneggiatura de Il fiore delle Mille e una notte (1974), l'ultimo film della Trilogia della vita e aveva continuato a frequentarlo fino al 2 novembre del 1975, fino a quella notte in cui il poeta è stato barbaramente ucciso in un campetto da calcio all’idroscalo di Ostia, a una trentina di chilometri da Roma. E sarebbe stato proprio Moravia, compagno della Maraini, a pronunciare, il 5 novembre, la celebre orazione funebre al funerale di Pasolini quando disse "abbiamo perso prima di tutto un poeta e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo”.

La percezione di Pasolini in Croazia

Dunque, una settimana fa, il 2 novembre, ricorrevano 50 anni dalla morte di Pasolini e la presenza di Dacia Maraini a Pola è l’occasione per conoscere più da vicino un intellettuale il cui pensiero è ancora estremamente attuale. Pasolini non è noto in Croazia a livello di massa, ad eccezione, forse, che per il suo film I racconti di Canterbury. D’altra parte, però, è notissimo e apprezzato, quasi a livello di culto, dai letterati e dagli amanti del cinema, specialmente per il film Salò o le 120 giornate di Sodoma.

I critici cinematografici croati lo citano regolarmente come un autore che ha unito poesia, politica ed erotismo in un’espressione cinematografica unica, mentre sociologi,  filosofi e politologi lo analizzano nel contesto della critica della società dei consumi, della sessualità e della religione. Le traduzioni croate dei suo testi che hanno avuto maggior diffusione sono la raccolta di poesie le Ceneri di Gramsci e il romanzo incompiuto Petrolio.

Aveva scoperto il deep state con largo anticipo

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è stato una delle figure più importanti e complesse della cultura italiana del Novecento. Poeta, regista, romanziere e autore di commenti per i giornali, ha saputo unire arte e impegno civile sulla falsariga della figura dell’intellettuale organico teorizzato da Antonio Gramsci. Ha dato voce alla visione del mondo, ai valori e agli interessi delle classi meno abbienti, degli “ultimi”. Infatti, la sua opera denuncia le ingiustizie sociali, la perdita dei valori popolari e l’omologazione culturale causata dal consumismo e dall’appiattimento linguistico provocato dai media.


Già cinquant’anni fa aveva denunciato l’esistenza di quello che ai giorni nostri viene definito  “deep state”, una rete di dinamiche di potere non trasparenti, composta da funzionari, militari e servizi segreti nazionali (deviati) e stranieri, che agirebbe dietro le istituzioni ufficiali influenzando le decisioni politiche. Nell’Italia degli Anni Sessanta e Settanta, con la strategia della tensione, il deep state aveva generato stragi nelle piazze, bombe sui treni, tentativi di colpi di stato tesi a smontare la costituzione democratica in favore di svolte autoritarie. Tutti ciò anche nel timore che il Partito comunista Italiano, il più forte e autentico partito comunista d’Europa, potesse salire al potere per regolare via elettorale, alterando in modo pericoloso gli equilibri atlantici.

Un intellettuale scomodo, un omosessuale che ha detto: “normalità non può coincidere con intolleranza”

Pier Paolo Pasolini era un comunista che già nel 1949 era stato espulso dalla Federazione comunista di Pordenone per indegnità morale e politica ma che nel 1974 scriveva comunque che “il Partito comunista italiano è un paese pulito nel paese sporco".

Pier Paolo Pasolini era un uomo di sinistra che non si nascondeva dietro al “partito”. Non esitava a provocare smascherando dogmi e slogan, come fece commentando gli scontri di Valle Giulia tra studenti e polizia. Il 1° marzo 1968, a Roma, davanti alla facoltà di Architettura, gli studenti che protestavano contro il sistema universitario e il potere politico si scontrarono con polizia e carabinieri. Nella poesia Il PCI ai giovani!! , Pasolini si schierò provocatoriamente con i poliziotti, definendoli “figli di poveri dei sobborghi e delle campagne”, mentre accusava gli studenti di appartenere alla borghesia. L’intervento suscitò numerose polemiche, ma ancora oggi resta una delle analisi più lucide e contraddittorie del movimento italiano del Sessantotto.

Pier Paolo Pasolini era un omosessuale che non nascondeva di esserlo e lanciava alla in una società bigotta e ipocrita che lo circondava il messaggio che “normalità non può coincidere con intolleranza”. Era stato, come ebbe dire la nota giornalista e scrittrice italiana Oriana Fallaci, un “intellettuale scomodo, un uomo scomodo”. Nel corso della sua vita Pasolini subì 33 processi giudiziari, in primo luogo per offesa al comune senso del pudore, oltraggio alla religione e vilipendio.

Nato a Bologna il 2 marzo 1922, ma da sempre legato a Casarsa nel Friuli, il luogo di nascita  di sua madre e in cui è anche sepolto, Pasolini aveva avuto un padre fascista sia nelle convinzioni politiche, sia nei comportamenti. Un padre, ufficiale di fanteria, odiato dal giovane Pier Paolo che invece si era legato – e lo è stato per tutta la vita – con un profondo affetto a sua madre Susanna Colussi. A lei ha dedicato una delle poesie più belle, con lei condivideva l’appartamento al numero 5 di via Eufrate, nel quartiere EUR di Roma, quando è stato ucciso. È lei che aveva voluto anche come attrice nel suo film Teorema e nel ruolo della Madonna ne Il Vangelo secondo Matteo.

foto: matteosavorani.it

Poesia e prosa alla ricerca dell’autenticità in un mondo corrotto

La sua carriera letteraria inizia con la poesia. Gli esordi friulani (Poesie a Casarsa, 1942) esprimono una ricerca di purezza e un legame profondo con la terra e l’infanzia. Con Le ceneri di Gramsci (1957) Pasolini riflette sul conflitto tra ideali marxisti e nostalgia borghese, fondendo lirismo e impegno politico. In La religione del mio tempo (1961) e Poesia in forma di rosa (1964) affronta la crisi della società moderna e il tradimento degli ideali rivoluzionari mentre i Trasumanar e organizzar (1971) sperimenta un linguaggio più frammentario e intellettuale, segnando la maturità della sua poesia. In tutta la sua opera emerge il messaggio di un poeta “eretico” che cerca verità, giustizia e autenticità in un mondo corrotto e disumanizzato.

Dopo aver trascorso i primi anni del dopoguerra nel Friuli, anche a causa dei problemi giudiziari che gli aveva causato la sua omosessualità, nel gennaio del 1950 si trasferisce a Roma dove, oltre a lavorare come insegnante, conosce tutta la miseria delle borgate della periferia romana devastata dalla speculazione edilizia e la disperazione, spesso criminale, dei “ragazzi di vita”: sarà uno tra i primi a indicare nella società contemporanea, specie nel consumismo, il colpevole della deriva morale e civile dei giovani sbandati nei quali Pasolini, nonostante tutto, individuava sincerità e autenticità.

A Roma prende avvio anche la narrativa di Pasolini che riflette la stessa intensità e tensione civile della sua poesia e del suo cinema, esplorando i conflitti sociali, culturali e morali dell’Italia del Novecento. E lo fa ricorrendo a una sperimentazione stilistica capace di rendere la lingua popolare straordinariamente espressiva. I personaggi pasoliniani sono marginali ma profondamente umani, simboli di una società in crisi.

Nei primi racconti (Ragazzi di vita, 1955) Pasolini descrive con realismo crudo la vita dei ragazzi delle borgate romane, dando voce agli emarginati e agli esclusi della società. Una vita violenta (1959) continua questo percorso, narrando le vicende di giovani travolti dalla povertà, dalla delinquenza e dalla violenza urbana, con uno stile diretto e colloquiale.

Foto www.ytali.com

Pasolini a Fasana

Nel 1949/50 (ma pubblicato solo nel 1962), nel suo primo romanzo „Il sogno di una cosa”, si era occupato di una vicenda che assomiglia molto a quella di tanti Monfalconesi arrivati a Pola dopo la fine della Seconda guerra mondiale per costruire il socialismo.

Nel libro, i contadini friulani Nino e Ligio, nel 1949, a causa della povertà, scappano nella nuova Jugoslavia, con la speranza di rifarsi una vita in un paese dove, in teoria, non doveva esistere lo sfruttamento dei poveri. Finirà però che pagheranno il prezzo dello scontro tra Tito e Stalin, per poi decidere di tornare in Friuli. Si tratta di un romanzo in cui emerge una scrittura più riflessiva e complessa, in cui confluiscono critica politica, analisi storica e introspezione psicologica.

Nel numero del 1° febbraio 1969, nella sua rubrica „Caos”, che scriveva tra l’agosto del 1968 e il gennaio del 1970 per il settimanale „Il Tempo”, in un paragrafo intitolato „L’Italia non italiana”, Pasolini scrive di Fasana. Riportiamo il testo nel riquadro.

Fasana è un dolce paesetto veneto, coi suoi vicoli sul mare; i selciati sconnessi e grigi; i piccoli porticati; la gente rada e triste che parla un veneto bellissimo (hanno dimenticato l'italiano, e per loro ormai l'italiano è il dialetto). Davanti a Fasana, nel cielo fin troppo dolce e azzurro, si stende l'isola di Brioni. C'è Tito. La gente ne parla con un tono spento e allusivo. Qui, non c'è dubbio, non siamo altrove: questo è un luogo tipico dell'Italia. Ora io mi chiedo: se fossi di Fasana, o di Pola, sentirei la nostalgia dell'Italia? Sentirei, come in un sogno, il bisogno di sentirmi cittadino di una nazione perduta e che ha dato per sempre i suoi caratteri al mio paese? Forse, se fossi un uomo semplice, sentirei questa nostalgia e questo bisogno. Se fossi invece quello che sono - cioè un uomo complicato - penso che troverei stupenda questa Italia non italiana: costa azzurra e tenera lungo un entroterra "diverso". "Nazione" e "cultura" sono due nozioni che devono disgiungersi, anche se una secolare abitudine le mescola dentro di noi. Perché questo peso e questa tristezza su Fasana? Perché questo dolcissimo sole riesce quasi opprimente come in un sogno inesprimibilmente angoscioso? Non c'è ragione di sentirsi, in quanto abitanti di Fasana, in uno stato di dolore storico, sia pur sordo e abitudinario. La storia non coincide con quella di una nazione. La storia è una storia di culture...

Il cinema di Pasolini tra premi ai festival e denunce ai tribunali

Dopo aver partecipato alla stesura o scritto, a partire dal 1957, le sceneggiature per alcuni film (tra i quali Notti di Cabiria di Federico Fellini), tra il 1961 e il 1975 Pier Paolo Pasolini scriverà e  dirigerà ben 12 film, a partire dall’Accattone del 1961 in cui debuttava Ninetto Davoli con il  quale, oltre al rapporto artistico, Pasolini ebbe pure un rapporto personale. Giovane dalle origini umili che rappresentava la giovinezza, la purezza e la vitalità della periferia italiana Ninetto Davoli sarebbe diventato l’attore feticcio di molti film di Pasolini. L’allegorico e dissacratori Salò o le 120 giornate di Sodoma uscirà postumo nel 1975, quello che gli rimarrà di più a cuore sarà Uccellacci e uccellini del 1966 che aveva avuto per interprete, quasi a sorpresa, il grande comico italiano a fine carriera Totò.

Con i suoi film Pasolini ha raccolto circa 21 vittorie e 20 candidature tra vari festival internazionali. Tra questi l’Orso d’oro al Festival di Berlino per I racconti di Canterbury (1972), l’Orso d’argento al Festival di Berlino per Il Decameron (1971), il Premio Speciale della Giuria alla Mostra del cinema di Venezia per Il Vangelo secondo Matteo (1964) e il premio Speciale della Giuria per Il fiore delle Mille e una Notte al Festival di Cannes (1974). D’altra parte, per i suoi film Pasolini sarà denunciato 33 volte (Mamma Roma, La Ricotta, I Racconti di Canterbury, il Decameron, Salò, Le 120 giornate di Sodoma saranno accusati di offesa al comune senso del pudore, oltraggio alla religione e vilipendio, censurati e sequestrati.

Pasolini sul set cinematografico: foto Istituto Luce

Il cinema di Pasolini è poetico, politico, sperimentale e radicale, capace di coniugare impegno civile e arte visiva in modo unico. Non è mai neutrale poiché denuncia le ingiustizie sociali, la corruzione morale e la mercificazione della cultura. Lo fa anche nella “Trilogia della vita”, un ciclo di tre film (I racconti di Canterbury del 1972, Il fiore delle Mille e una Notte del 1974 e Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975 in cui il regista esplora l’erotismo, la sensualità e la vitalità popolare dell’uomo, contrapponendoli alla repressione morale e sociale della modernità. Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini è inoltre una potente allegoria della corruzione del potere e della degradazione morale della società in cui Pasolini mostra la violenza estrema, il sadismo e la sopraffazione come metafora del totalitarismo e della perdita di umanità.

Oggi, il suo pensiero di Pasolini è un invito a mantenere viva la coscienza critica. Egli ha incarnato il ruolo dell’intellettuale scomodo, sempre controcorrente e mai conformista. La sua morte violenta, di cui scriveremo nella prossima puntata, ha trasformato la sua figura in un simbolo di libertà e verità.


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