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È nato a Pola, dove ha frequentato la Scuola elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi” per conseguire la maturità presso la Scuola media superiore italiana, sempre a Pola. Poi Egidio Ivetić è andato a studiare a Padova, dove si è laureato in Lettere moderne alla Facoltà di Lettere e Filosofia, per diventare successivamente uno dei pochi Polesani ad ottenere il ruolo di professore ordinario presso una delle più antiche e prestigiose Università del mondo. Prima di quella di Padova, fondata nel 1222, sono nate soltanto quelle di Bologna (1088), Oxford (1167), Salamanca (1134) e Cambridge (1209.)
Dopo aver svolto gli studi di dottorato di ricerca in Storia presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, Egidio Ivetić nel 1998 ha conseguito il Dottorato di ricerca nell'Università degli Studi di Milano. All'Università di Padova insegna Storia dell'Europa orientale dal 1999, Storia moderna dal 2014, Storia del Mediterraneo dal 2018. Tra i tanti altri incarichi, è anche direttore dell'Istituto di Storia della Società e dello Stato Veneziano alla rinomata Fondazione Giorgio Cini Venezia.
Numerosi sono i suoi libri sulla storia dell’Istria, ma anche sui Balcani, sull’Adriatico e sul Mediterraneo. In Istria per le vacanze, lo abbiamo incontrato nella sua casa di Carnizza, immersi in quell’ambiente istriano, adriatico e mediterraneo che Ivetić ha studiato, interpretato, raccontato e spiegato in molte delle pagine dei suoi libri. Libri recentemente pubblicati da un ottimo editore quale „Il Mulino“ di Bologna e che stanno avendo anche una buona fortuna editoriale.
Lei ha dedicato alcuni dei suoi libri, tra i quali anche l’ultimo, “Studiare la storia del Mediterraneo” al Mediterraneo. Nel 2022 ha pubblicato anche “Il grande racconto del Mediterraneo”. In Istria notiamo delle situazioni che sono tipiche del Mediterraneo, quali l'olivicoltura, la viticoltura, le ‘casite’, località come Rovigno che per secoli è vissuta di pesca, le saline a Pirano. Ma in quest’area abbiamo anche tre città, Pola, Fiume e Trieste che non sembrano propriamente mediterranee. Dunque, quant’è mediterraneo l'Adriatico settentrionale?
Nel mio libro “l'Istria Moderna” ho definito l’Istria una penisola mediterranea, anche sorprendendo qualcuno. Ma il cielo dell’Istria è come quello di Malta, non come quello di Francoforte. L’Alto adriatico è geograficamente e paesaggisticamente Mediterraneo, la parte più settentrionale del Mediterraneo, con l’Istria che è quasi una specie di Scandinavia del Mediterraneo. Tuttavia gran parte della gente che vive nell'Istria attuale non si percepisce più in senso mediterraneo. Nell’ultimo secolo è prevalsa una visione continentale. La questione è in primo luogo culturale, l’Istria è governata da due stati totalmente continentali sul piano culturale. La Slovenia non è un paese culturalmente mediterraneo, è un paese alpino con uno sbocco marittimo, mentre la Croazia è per metà continentale e per metà marittima, ma culturalmente vi prevale quella continentale. La dimensione marittima e mediterranea viene utilizzata solo nella promozione turistica, per il resto la Croazia non si comporta da paese mediterraneo, basti veder il prezzo del vino, come se fossimo in Slovacchia. La questione riguarda tutto l’alto Adriatico poiché la stessa cosa vale per la stessa Venezia che, a parte essere una città museo, non è percepita come mediterranea da parte del Veneto. Il Veneto è molto terragno, con Venezia che oggi si trova a essere capoluogo di una regione molto continentale.
La maggior parte delle persone che vivono oggi in Istria non si percepiscono più come mediterranee. Negli ultimi cento anni ha prevalso una visione continentale. La Croazia è per metà continentale e per metà marittima, ma dal punto di vista culturale prevale la dimensione continentale
Eppure Venezia per secoli ha praticamente dominato il Mediterraneo, o almeno quello orientale.
Venezia è stata uno stato italiano, ma in primo luogo uno stato mediterraneo. Non c’è stato nessun altro stato, mi si scusi il bisticcio di parole, così mediterraneo come lo è stata Venezia. Nemmeno l’impero ottomano, che aveva interessi in tre continenti diversi e, pur essendo il proseguimento dell’Impero romano d’Oriente, non ha mai controllato l’Adriatico. La mediterraneità di Venezia oggi non è capita né percepita nemmeno nel Veneto. E questo vale anche per l’Istria.
Quando avviene la continentalizzazione delle nostre aree?
La continentalizzazione dell’Alto adriatico avviene dopo la caduta di Venezia nel 1797 e, per quel che ci riguarda, il passaggio dell’Istria all'Austria. Vienna prende come riferimento Parigi che, con Marsiglia come porto commerciale, e Tolone come porto militare, si era fatta un proprio Mediterraneo. Così, Vienna, seicento chilometri lontana dal mare, ha fatto di Trieste la sua Marsiglia e di Pola la sua Tolone, oppure, in chiave russa, Trieste è Odessa mentre Pola è Sebastopoli, con Fiume che è la Marsiglia o l’Odessa di Budapest. Avendo ereditato un pezzo di Vienna a Trieste e a Pola e un pezzo di Budapest a Fiume, gli stati successori, gli attuali Slovenia e Croazia, hanno fatto propria soltanto la tendenza continentale, trascurando la dimensione mediterranea che si stava dando l’Austria.
In che senso?
Se l’impero austro-ungarico non fosse caduto, la sua dimensione mediterranea sarebbe stata più pronunciata. A ridosso della Prima guerra mondiale a Vienna c’è stata un'esposizione sull’Istria e tutto il Litorale dalla quale risultava chiaro che il Mediterraneo austriaco funzionava con Trieste come metropoli, una città programmata per mezzo milione di abitanti, Pola come centro militare strategico, che aveva la lo stesso numero di abitanti di oggi anche se la struttura urbana era prevista, e lo si vede, per centoventimila abitanti. Poi c’era il Mediterraneo turistico austriaco, con Rovigno o Laurana, la città di villeggiatura del sindaco di Vienna Karl Lueger, o Abbazia. Questo Mediterraneo austriaco, negli ultimi due o tre anni, era proiettato su scala globale. Le navi ormai raggiungevano Tokyo, la Cina, Bombay. L'architettura delle nostre città è ovviamente viennese e ungherese, e ciò ci fa percepire la loro continentalità, ma sul finire del dell'impero c'era una vocazione mediterranea. I figli di Francesco Ferdinando, che aveva un vero e proprio culto per Pola, erano vestiti “alla marinara”, tanto per fare un esempio. C’erano dunque due nature nelle nostre città all’inizio del Novecento, quella continentale e quella del recupero del Mediterraneo.
Trieste è la Marsiglia o l'Odessa, mentre Pola è la Tolone o la Sebastopoli di Vienna, mentre Fiume è la Marsiglia o l'Odessa di Budapest
Sottolineo questo perché gli stati successori non hanno, a mio avviso, questa visione, limitandosi a proporre soltanto un Mediterraneo turistico. L’Istria viene percepita come una specie di punta di lancia dell'Europa centrale nel Mediterraneo, quando invece dovrebbe essere percepita come il punto più settentrionale di un mondo che va da Gibilterra al Bosforo, alla Siria e a Suez. A volte si ha la tendenza a percepire il Mediterraneo come qualcosa di esotico senza renderci conto che l‘ottanta percento del Mare mediterraneo è dell'Unione Europea, ma ci comportiamo come se questo fosse unicamente un dato statistico, non una possibile direttrice culturale e magari anche politica.
Tra gli autori delle nostre zone, dopo Matvejević, pure lei ha studiato il Mediterraneo. Come lo ha descritto?
Il Mediterraneo è qualcosa di infinto e infinite ne sono le interpretazioni. Matvejević, dal suo punto di vista di esperto di letteratura francese, è riuscito a condensare le varie interpretazioni. Oggi il Mediterraneo è un pretesto per tutto, dalla dieta alla cultura, dalle vacanze al cinema e all’immaginario. C'è anche troppa confusione poiché se qualcosa è tutto allora è pure niente. C’è un Mediterraneo fisico, quello dei geologi, quello dei naturalisti che ci spiegano che il Mediterraneo è sempre più inquinato. Poi c'è un Mediterraneo politico, che è quello della realtà politica a cui assistiamo ora ma fatto anche di demografia, di economia, di sistemi politici, ad esempio, le dittature mediterranee che provocano conseguenze relative alle migrazioni.
A volte si ha la tendenza a percepire il Mediterraneo come qualcosa di esotico senza renderci conto che l‘ottanta percento del Mare mediterraneo è dell'Unione Europea, ma ci comportiamo come se questo fosse unicamente un dato statistico, non una possibile direttrice culturale e magari anche politica
Ma c'è anche un Mediterraneo della cultura o un Mediterraneo simbolico. Il Mediterraneo è una zona di passaggio, di incontro tra i continenti, lo avevano capito anche gli antichi Romani che si erano resi conto che per controllare e unire il Mediterraneo non bastava una forza militare e marittima, ci voleva anche una cultura e hanno individuato questa cultura nell’ellenismo e nella sua capacità di unire culturalmente una vasta area che va da Gibilterra all’India. Ad ogni modo, non sempre il Mediterraneo è stato inteso come tale, il Mediterraneo come lo conosciamo oggi è un'invenzione Europea, è l’Europa che ha visto nel Mediterraneo qualcosa di specifico a partire dall'età romantica. È da quel momento che si vede l’origine dell’Occidente nella Grecia classica.
Quindi, il Mediterraneo va interpretato anche attraverso la lente della cultura.
Certo. Il Mediterraneo si basa su civiltà come quella greco-romana, ottomana, bizantina, italiana o catalana. Nel libro "Studiare la storia del Mediterraneo" ho capito che esistono 55 diversi Mediterranei. Ad esempio, il Mediterraneo del mondo greco-romano è diverso da quello di Venetia, il mondo latino dei Veneti, che a sua volta è diverso da quello di al-Andalus o del mondo arabo. Esiste anche un'ambiguità mediterranea, come quella del Mediterraneo di cui leggiamo in Ismail Kadare, che è albanese, ma anche greco-arbëresh (arbanese).
Il turismo potrebbe rivelarsi una minaccia?
C'è una tendenza a utilizzare il Mediterraneo per promuovere il turismo. Il Mediterraneo contiene certamente una potente componente turistica, ma, dal punto di vista storico, questo non è il motivo per cui il Mediterraneo "esiste". L'Egitto, la Grecia, la Tunisia, la Francia e persino la Croazia lo percepiscono come uno strumento in funzione del turistimo. Matvejević ha sottolineato che il Mediterraneo è un luogo dove la modernità è assente, ma il turismo, come una sorta di industria del Mediterraneo, lo modernizza, creando in questo modo una continentalizzazione del Mediterraneo. Esiste il rischio che il Mediterraneo diventi solo un luogo di villeggiatura per turisti, e non una vera regione culturale con un significato storico e geopolitico.
Prima di studiare il Mediterraneo lei si è occupato anche dell’Adriatico
L'Adriatico è un mare particolare dentro al Mediterraneo ed è per sua conformazione geografica il più europeo tra le varie declinazioni del Mediterraneo. Come dice il grande storico francese Fernand Braudel, l'Adriatico riassume in sé il Mediterraneo. È un mare, ma è anche una regione e un contesto di confine, con in cima l’Istria come una testa di Giano bifronte. L’Istria riassume in sé l’Adriatico, l’Adriatico riassume in sé il Mediterraneo.
Nel corso della storia, l'Adriatico è stato più luogo di scontri o di incontri?
A voler fare un’economia di tutti i fatti e di tutte le storie in tremila anni di storia, l’Adriatico è stato più un mare d'incontri. E lo è pure oggi. Il Mediterraneo è sempre più diviso, mentre nell’Adriatico c’è l’integrazione europea, ma anche quella atlantica. Anche in passato, quando tre quarti della costa orientale adriatica era veneziana, e quindi europea e cristiana, l’Adriatico è stato unito, con la trasversale adriatica tra Puglia e Dalmazia come argine permeabile e dunque anche come luogo di incontro e di scambio con la presenza ottomana nel Basso Adriatico e nelle Ionio. Per secoli la connessione tra le due sponde adriatiche, tra i porti veneziani, ma anche tra quelli dello Stato della Chiesa nelle Marche e i porti della Dalmazia, era stata costante.
Il Mediterraneo è sempre più diviso, mentre nell’Adriatico c’è l’integrazione europea, ma anche quella atlantica
La divisione si sviluppa nell’età delle nazioni, quando gli stati nazionali cercano nell’Adriatico il loro confine e nella Prima guerra mondiale questo mare diventa un elemento simbolico per la nazione. Poi è comparsa la questione del confine adriatico tra i blocchi, per quanto uscita dalla galassia sovietica, la Jugoslavia è stata un paese comunista e come tale veniva percepita. Oggi, tutti gli stati che si affacciano sull'Adriatico rientrano nella NATO, ciò vuol dire che non ci sono contrapposizioni militari e quindi vigono la pace e l’integrazione. Dunque l’Adriatico è stato per gran parte della sua storia ed è tornato a essere un luogo di incontri.
Lei è un venezianista. A proposito di scontri e incontri, come va interpretata la presenza di Venezia in Istria?
Il rapporto tra Venezia e l'Istria precede la nascita della stessa Venezia. La Venezia che conosciamo oggi nasce grossomodo fra l’815 e l’827/28 con la Traslazione del corpo di San Marco. Prima di allora c'erano le Venezie che erano delle isole. Ma ancor prima, nell’età romana, c'era la Venetia et Histria a comprovare le molte affinità tra le due aree. Per capire la storia del Mediterraneo, e dunque anche quella dell’Adriatico, è importante tener conto della complementarità tra le sponde. Prima di qualsiasi logica politica o culturale viene la complementarità economica, nel senso che “io ti do questo, tu mi dai quello”. In questo contesto viene a galla la comune indole degli abitanti che vivono sul mare e che sono diversi da quelli dell’entroterra. Piove di Sacco, in provincia di Padova, dista da Chioggia solo 10 chilometri, ma vi si parla un dialetto del tutto diverso. A Grado si parla Veneziano, a Belvedere di Aquileia, pochi chilometri all’interno, si parla il Friulano. Lo stesso esempio si può riproporre per Rovigno e Villa di Rovigno. Tutta la fascia costiera dell’Alto Adriatico è come una membrana che vede una popolazione marittima da una parte e una continentale dall’altra, c’è di mezzo una differenza antropologica. Questa è la premessa per poter capire il rapporto storico tra Venezia e l’Istria, un rapporto che trova la sua logica nella logica mediterranea.
Bisogna capire che per lungo tempo, a partire dai Romani che parlavano del Mare Superiore, l'Adriatico veniva visto come un mare orizzontale. Nella vita quotidiana non esisteva una distinzione tra nord e sud, quindi le coste non si "continentalizzavano". Nell'"Adriatico orizzontale", le Marche e la Puglia erano complementari con la Dalmazia, mentre il Dogado, la zona lagunare sotto l'amministrazione diretta di Venezia, che non aveva legami con Padova, Treviso o il Friuli, era come una sorta di mezzaluna ed era complementare con l'Istria veneziana
Gran parte della storiografia, specie quella concentrata sulla nazione, preferisce altre interpretazioni.
Tutte le spiegazioni politiche che trascurano il ruolo del mare sono in qualche modo ideologiche e non riflettono le logiche della vita vissuta nel corso della storia. Bisogna capire che a lungo, a partire dai Romani che parlavano di Mare superiore, l’Adriatico veniva visto come se fosse un mare orizzontale. A parte le grandi imprese commerciali “in verticale” che condussero i Veneziani fino alle isole greche, nella quotidianità non esistevano un nord e un sud e dunque le coste non venivano “continentalizzate”. Soltanto con l'Unità d'Italia avviene la continentalizzazione dell'Adriatico con la costruzione della linea ferroviaria che raggiunge Bari ed è allora che nascono un nord e un sud. Nel precedente e duraturo “Adriatico orizzontale” le Marche e la Puglia erano complementari con la Dalmazia, mentre il Dogado, la fascia lagunare sotto diretta amministrazione di Venezia e che non c’entra con il Padovano, il Trevigiano o il Friulano, come una specie di ciambella, una mezzaluna, è complementare con l’Istria veneta. La logica era quella della trasversalità. Questo era ciò che contava. Poi nella storiografia sono prevalsi elementi che per gran parte della storia di questo mare e quindi dell’Istria non contavano per nulla, quali l’elemento politico ed etnico-nazionale.
Cosa ne deriva per l’Istria di oggi?
L’Istria attuale deve considerare che essa deriva per molte delle sue connotazioni da una sua parte che si chiamava Istria Veneta, durata dal 1267 al 1797, evidente a tutti. Basti vedere i campanili. Di solito si dice che Rovigno è molto veneziana, ma veneziane sono anche Buie, Montona, Cittanova, Umago, Pirano, Isola, Capodistria e tante altre località. Quest’Istria differiva molto da quella della Contea di Pisino, con differenze anche tra gli Slavi dell’Istria veneta, per lo più Morlacchi, e quelli della Contea, detti “Bisiachi”. Non si deve scordare che la parte austriaca dell’Istria faceva parte del Sacro Romano Impero. Alla costituente di Francoforte del 1848 nella carta geografica della Germania rientra anche Pisino. La differenza tra le due Istrie è che nell’Istria Veneta non si sono stati sollevamenti di popolo e proteste contadine, cosa che invece avveniva ciclicamente nella Contea di Pisino, com’era tipico in tutto il mondo tedesco.
L'Istria Veneta è una realtà storica durata cinque secoli durante i quali l’Istria ha assunto molte delle sue caratteristiche antropologiche, economiche, linguistiche, toponomastiche, edilizie e quant’altro, un patrimonio sia materiale, sia immateriale, ma che comunque viene ignorata
Mi pare di poter dire che questa divisione, durata fino alla Seconda guerra mondiale, oggi sia superata, ma allo stesso tempo noto quanto sia sistematico l'oblio in merito all'Istria Veneta. L'Istria Veneta è una realtà storica durata cinque secoli durante i quali l’Istria ha assunto molte delle sue caratteristiche antropologiche, economiche, linguistiche, toponomastiche, edilizie e quant’altro, un patrimonio sia materiale, sia immateriale, ma che comunque viene ignorata. Molte delle caratteristiche dell’Istria e degli Istriani di oggi sono imprescindibili da Venezia, eppure si continuano a esaltare tutte le mitologie nazionali e a sostenere, anche in modo ridicolo, che Venezia ha tagliato i boschi, cosa, tra l’altro, non vera, basta andare a vedere la lapide municipio di Pola. I nazionalismi avversi a Venezia hanno continuato sempre e continuano ancora a demonizzare Venezia e io ci posso far ben poco. Ma un conto è la storia, un conto sono le mitologie.
Eppure Pola non ha avuto una grande storia nel periodo in cui è stata veneziana
È innegabile il fatto che Pola sia molto romana e austriaca e meno veneziana rispetto ad altre realtà istriane. Ma non è una questione di deliberata trascuratezza da parte di Venezia. Il problema di Pola era il suo piccolo numero di abitanti, ne aveva avuti al massimo 4000 nel periodo dei Castropola a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. La povertà demografica non era di certo una colpa di Venezia, anzi, ci sono tanti documenti nei quali Venezia esprime preoccupazione per questo fatto. Torno a dire, Venezia era una membrana costiera e a Pola manca un entroterra. Ne è priva pure Rovigno, ma a Rovigno si è sviluppata la società imprenditoriale, mentre a Pola ciò non è avvenuto. In una cronaca di Rovigno del 1780 compaiono le note di un arciprete che dice: “oggi è passato il paron Rocco, gli ho dato il dipinto della Madonna, lo presenterà a Londra e spero di guadagnarci delle ghinee”. Quindi i Rovignesi erano familiari con il mercato di Londra. Se Pola non è stata capace di produrre storie simili, questa una questione di Pola, non di Venezia. Venezia non ha promosso nulla a Rovigno, è Rovigno che si è fatta da sola.
Nella storiografia sono prevalsi elementi che per gran parte della storia di questo mare e quindi dell’Istria non contavano per nulla, quali l’elemento politico ed etnico-nazionale
Le città in cui c’è un forte patriziato come Capodistria tendono a essere stabili – e il patriziato capodistriano è il più forte, i Polesini sono dei Marchesi – e vogliono far fruttare la terra anche facendola lavorare da altri per generare ricchezza. I quattro patrizi di Pola lasciano invece la terra allo stato incolto per sviluppare l'allevamento, tanto gli animali vanno macellati a Venezia. Agendo in questo modo non sono riusciti mettere in piedi un sistema economico funzionale al benessere. Quindi i problemi di Pola vanno cercati a Pola, non a Venezia.
Recentemente è scomparso un grande venezianista di Pola, il professor Miroslav Bertoša. Quanto gli dobbiamo?
A Bertoša dobbiamo moltissimo perché è stato il primo a non demonizzare Venezia. Prima di Bertoša non era così. Lui studia l’amministrazione di Venezia mentre in Dalmazia c’è il mito antiveneziano, basti vedere le storiografia croata sulla Dalmazia in cui Venezia viene sempre dipinta con i peggiori colori. Se questo per l’Istria non avviene più lo dobbiamo agli studi di Miroslav Bertoša che, oltre che nella storiografia, ha avuto anche un’influenza sulla cultura della regione. Ha dato quindi un grosso contributo alla convivenza. È andato contro al paradigma, ormai consolidato nella percezione degli altri, che i paesi del sud-est europeo sono tutti nazionalisti. L'Istria è un'oasi. Per quel riguarda lo spazio post jugoslavo, soltanto l'Istria e la Vojvodina vengono percepite diversamente. Bertoša ha scritto molti libri, non solo di storia, ma anche di saggistica, memorialistica, contribuendo moltissimo a far accettare Venezia. Bertoša si rendeva conto che solo se si accetta tutta la storia di quello che lui in croato definisce “zavičaj” (in tedesco “Heimat”, in italiano l’espressione “luogo natio” non rende l’idea) si può andare avanti. L’Istria deve molto a Bertoša da questo punto di vista.
La storiografia istriana degli ultimi 150 anni è stata contaminata prima dal nazionalismo irredentista italiano, poi dal nazionalismo jugoslavo mimetizzato da internazionalismo. A che punto siamo ora?
Io avrei voluto che ci fosse una storiografia istriana, purtroppo non c'è. Ci sono le storiografie nazionali. Spesso il centro non capisce il confine. A volte il confine può arricchire ma rischia anche di diventare un contesto a sé, e ciò è riduttivo. Di fatto, rispetto alla storiografie nazionali l'Istria è un luogo a sé. Dovrebbe diventare al contempo anche un luogo di tutte e tre le storiografie (croata, italiana e slovena), ma a causa della lettura nazionale che propongono, fondamentalmente nessuna delle tre lo capisce. Da questo punto di vista Bertoša è stato un grande, ma non è stato capito nella metropoli e dal trend storiografico croato. Una delle manchevolezze delle storiografie croata e slovena, concentrate quasi esclusivamente su quell’aspetto etnico e nazionale che ormai da tempo non è un paradigma valido nelle storiografie che contano a livello interazionale, è che non si studiano le istituzioni, non si studiano gli atti notarili. Senza questo tipo di studio non si può capire come funzionava uno stato.
Al professor Bertoša dobbiamo moltissimo perché è stato il primo a non demonizzare Venezia. Prima di Bertoša non era così. Lui studia l’amministrazione di Venezia mentre in Dalmazia c’è il mito antiveneziano, basti vedere le storiografia croata sulla Dalmazia in cui Venezia viene sempre dipinta con i peggiori colori. Se questo per l’Istria non avviene più lo dobbiamo agli studi di Miroslav Bertoša
Quindi è inutile parlare della Repubblica di Venezia se non si capisce come funzionavano le istituzioni sul territorio, limitandosi alla ricerca dell’elemento etnico. Cercare tra i comandanti veneziani uno con il cognome croato non porta da nessuna parte, se non si è prima capito come funzionava la flotta e come funzionava lo stato. L’istituzione inquadra il resto. Bertoša aveva accolto la lezione dell’ Annales e quindi ha cercato di fare storia sociale e di capire la società. Attualmente non vedo altri storici in grado di seguirlo.
Io avrei voluto che ci fosse una storiografia istriana, purtroppo non c'è. Ci sono le storiografie nazionali. Spesso il centro non capisce il confine
Lei è nato a Pola ha studiato a Padova dove è stato lo studente jugoslavo che parlava benissimo l’italiano. Come la percepiscono oggi colleghi e studenti?
Sinceramente non ho mai avuto alcun problema, anche perché a Padova si sa bene cos’è l'Istria e l’integrazione è stata immediata. Inoltre, ho collaborato a lungo con il Centro di ricerche storiche di Rovigno che è ben noto sia a Venezia, sia a Padova. Mi sono formato come venezianista ma, anche per motivi di carriera universitaria, mi sono dedicato allo studio dei Balcani, insegnando anche Storia dell’Europa orientale. In questo caso la formula dell’ex Jugoslavo va anche bene, diciamo che mi rende più credibile, praticamente un “insider”. Comunque no, a Padova le mie cittadinanze non sono mai state un problema.
Stando al successo di alcuni canali su Youtube che si occupano di storia, quali quelli dei professori Barbero e Canfora, ma anche di quelloi gestiti da non storici di professione quali “Dentro la storia”, “La biblioteca di Alessandria”, “Scripta manent” o “Nova lectio”, sembra sia in atto un revival della narrazione storica. Tra gli spettatori qualcuno ha scritto: “A scuola ho sempre odiato la storia, oggi non posso fare a meno di almeno una dose di Barbero al giorno”. I nuovi canali di comunicazione evidentemente hanno fatto bene alla divulgazione della storia. Quanto è importante la storia nella nostra vita e come si deve comunicarla affinché essa possa assumero un ruolo di rilievo senza avere la vanapretesa di diventare “magistra vitae”?
La comunicazione è importantissima e recentemente ha fatto passi fa gigante, possiamo dire che siamo di fronte a una rivoluzione che dobbiamo anche al professor Alessandro Barbero che io appoggio in pieno in questa sua uscita dalla torre d’avorio accademica, restia e comprendere le novità e le opportunità che ne derivano, temendone invece le possibili contaminazioni. Oggi ci sono molti Festival dedicati alla storia con tantissimo pubblico, c’è un nuovo modo di comunicare ed è giusto che sia così. La storia, come tutte le altre discipline umanistiche, va studiata e scoperta tutta la vita, è un’LLL (lifelong learning). Questo è un grande momento che andrebbe sfruttato da tutti perché ognuno di noi, proprio tramite la storia, può conoscere meglio se stesso. Credo che ciò sia innegabilmente un bene.