Velika Britanija od parlamentarnih izbora iselila gotovo 13.500 migranata
Broj prelazaka kanala La Manche stalno raste, a od srpnja je više od 21.000 migranata stiglo u Veliku Britaniju malim čamcima
È molto importante che, a dispetto di tutto quello che ti possa accadere nella vita, tu non nutra rancore. Perciò apprezzo la famiglia e gli amici che ho a Dignano, Novara e in tutto il mondo, cosi’ Giuseppe Pino da Novara. L’Istria nel corso del XX secolo è stata abbandonata da molti dei suoi abitanti. Alcuni dovevano farlo, altri pensavano di doverlo fare, talaltri invece desideravano una vita migliore. Le cause erano economiche e politiche, spesso sia l’una sia l’altra.
È molto importante che, a dispetto di tutto quello che ti possa accadere nella vita, tu non nutra rancore. Perciò apprezzo la famiglia e gli amici che ho a Dignano, Novara e in tutto il mondo, cosi’ Giuseppe Pino da Novara. L’Istria nel corso del XX secolo è stata abbandonata da molti dei suoi abitanti. Alcuni dovevano farlo, altri pensavano di doverlo fare, talaltri invece desideravano una vita migliore. Le cause erano economiche e politiche, spesso sia l’una sia l’altra.
Josipa Bepa, (Australia, Brisbane): "Per molte volte ho sognato Gimino: lo vedo ma non riesco a raggiungerlo... non posso trovare la strada che conduce a Gimino".
Giuseppe Pino, (Italia, Novara): È molto importante che, a dispetto di tutto quello che ti possa accadere nella vita, tu non nutra rancore. Perciò apprezzo la famiglia e gli amici che ho a Dignano, Novara... e in tutto il mondo.
Lidia (USA, New York): Mio padre lasciò tutto in Istria; qui non aveva amici, non conosceva la lingua, doveva occuparsi dei figli. Col fatto di essere stata brava a scuola e più tardi anche nella vita, volevo provare che i miei genitori avevano ragione, che la loro decisione di emigrare era giusta e che avevano fatto la scelta migliore per noi bambini – mio fratello e me. Penso che proprio questa sia la ragione per cui i figli degli emigranti sono motivati a concludere gli studi nelle facoltà e a riuscire nella vita.
Nikola (Serbia, Belgrado): Sia quando al cimitero rivangato di Novi Sad cerco la croce di mio nonno Mate, sepolto ancora nel millenovecentotrenta, sia quando al cimitero di Medolino poso del rosmarino sulla pietra bianca, vicino ai ritratti di mamma e papà, rimango comunque un Istriano.
Bruno (Argentina, La Plata): La prima volta che andai a Cerreto, Saicovici, Bottonega... noleggiai una macchina: potevo arrivare a casa di mio padre a occhi chiusi, perché avevo sentito così tante volte che questa si trova all’angolo dietro alla scuola e di rimpetto alla stazione di Cerreto... Così vi giunsi, senza l’aiuto di nessuno... a forza di sentirne parlare…
Franko (USA, New York): Ho comperato la cartolina con sopra Kennedy, negli USA ai tempi in cui ancora navigavo, nel 1967: questo era il segno che il mondo stava cambiando, che quello vecchio stava passando e quello nuovo era alle porte. Mentre viaggiavo, ebbi l’impressione che lì fosse più bello, più facile. C’era pure dell’avventurismo... Non avevo mai pensato che questo sarebbe stato per sempre, ma fu proprio così.
Il tema dell'emigrante istriano - insieme a Ćićka, al tessitore di Kringa, al contadino di Gimino, alla dignanese, al minatore e all'impiegato turistico - sono parte della nuova mostra del Museo Etnografico dell'Istria, inaugurata dieci giorni fa nel castello di Pisino . Anche questo testo è in gran parte opera degli autori-museologi del Museo Etnografico dell'Istria di Pisino.
L’Istria nel corso del XX secolo è stata abbandonata da molti dei suoi abitanti. Alcuni dovevano farlo, altri pensavano di doverlo fare, talaltri invece desideravano una vita migliore. Le cause erano economiche e politiche, spesso sia l’una sia l’altra.
All’inizio del Novecento l’emigrazione in America era soprattutto motivata dalla ricerca di una vita migliore. Tra le due guerre (dopo il 1920), quando l’Istria fu annessa all’Italia, molti istriani di orientamento e coscienza nazionale croata o slava (meridionale), come pure alcuni antifascisti, si trasferirono nelle città della Jugoslavia di allora.
Da posizioni e motivazioni completamente diverse, dopo la Seconda guerra mondiale (e fino agli anni Sessanta) emigrò un numero ancor maggiore di istriani. Si trattava soprattutto di abitanti dell’Istria che si consideravano italiani, spesso provenienti dalle piccole città e paesi della penisola, che avevano vissuto in modo drammatico il totale cambiamento del sistema politico e del clima sociale.
In effetti, il nuovo regime comunista vedeva molti di loro come borghesi e li riteneva legati al precedente governo, fascista e “straniero”. Ritorsioni e minacce non erano rare. Ritenendo che non avevano un futuro nella nuova cornice ideologica, oltre 200.000 istriani optarono per l’Italia e continuarono lì la loro vita, oppure si trasferirono nei paesi d’oltremare.
A loro si unirono anche molti giovani istriani di diversa appartenenza etnica e nazionale che desideravano continuare la loro vita in un clima economico e sociale diverso.
Il maggior numero di partenze di istriani verso gli Stati Uniti avvenne negli anni Settanta, soprattutto dall’Albonese, quando crebbe la disoccupazione in seguito alla chiusura delle miniere di carbone.
La maggioranza degli emigrati porta in sé la nostalgia e forti emozioni verso la propria terra, eppure si sono adattati e arrangiati nelle nuove realtà nelle quali hanno costruito la loro nuova identità. Come aveva detto Josipa (Bepa) Marjanović, nata a Gimino ed emigrata in Australia: “Noi semo in giro pel mondo, ma l’Istria ne xe sempre nel cor… anche se sò che non xe posibile tornar a viver là, perché semo tropo tempo via”. Un'illustrazione di questa affermazione è il suo centrino, un ornamento che si dispone nel centro di un tavolo o di altri mobili, che ha ricavato da un vecchio lenzuolo portato con sé da Gimino in Australia nei primi anni Sessanta. Ha tagliato e unito con un ricamo i riquadri ancora conservati del lenzuolo, ottenendo così un nuovo prodotto, come risultato dell’unione della vita di un tempo in Istria e di quella “nuova” in Australia.
A causa dell'esodo prebellico e postbellico degli istriani, questo territorio ha irrimediabilmente perso la propria popolazione urbana e semi-urbana, come pure la corrispondente cultura e lo stile di vita, ma anche gli individui più istruiti e vigorosi. Le case abbandonate, persino interi paesi, ancora oggi parlano di persone che mancano, di eredità irrisolte, materiali e immateriali.
Dietro agli scarni dati storici si cela il grande numero di famiglie istriane divise e separate, la cui vita – che siano partiti o rimasti – è stata caratterizzata dalla nostalgia, la nostalgia per i propri cari, dalle difficoltà di adattamento alle nuove circostanze e all’ambiente, dall’incertezza. La maggior parte degli istriani ha vissuto la perdita della patria, oppure ha vissuto in una patria che non era più quella di una volta.
Quelli che sono rimasti erano a volte sospetti alle nuove autorità, o perché erano rimasti o perché parte della loro famiglia si era trasferita o era fuggita illegalmente. Quelli usciti dall’Istria cercarono, riuniti, di continuare a esistere come comunità, spesso fondando società che facevano riferimento al luogo natio abbandonato.
Così la patria ha continuato ad esistere, dislocata e in nuove situazioni.
Singole partenze erano il risultato di decisioni frettolose, altre invece erano lungamente pianificate. In ogni caso la partenza era soltanto un’introduzione a lunghi viaggi e ancor più lunghe permanenze, molte volte pluriennali, nei campi di raccolta per i profughi.
Solo dopo queste fasi seguiva l’adattamento al nuovo ambiente, al nuovo lavoro, alle nuove persone. Tutto questo spesso influiva negativamente sulla qualità della vita della prima generazione di emigrati; appena i loro figli hanno avuto l’occasione di realizzare una vita “normale”.
Gli esuli istriani che si sono stabiliti in Italia non di rado sottolineano anche la loro identità istriana. Anche la maggioranza degli emigrati che ha scelto l’Australia, il Canada o gli Stati Uniti come nuova patria di solito rilevano che sono istriani e si servono del loro dialetto, dell’italiano e dell’inglese. In seguito a tale eterogeneità linguistica e identitaria e al mancato legame con i grandi gruppi nazionali di emigranti, rimangono alquanto “invisibili” e al di fuori dei grandi progetti statali destinati all’emigrazione.
Nevio Terdoslavich - da Ceppici a New York
Anche se in campo politico, ideologico ci saranno battaglie per la verità unilaterale, saltare dei passi o interi crimini dei "nostri", ci ritroveremo con un uomo concreto, un destino individuale.
Nevio Terdoslavich, nato a Ceppici, ha condiviso il destino di molti giovani come lui che speravano in una vita migliore nelle terre d’oltremare. Poiché suo padre era un marittimo, per lui era impensabile la vita altrove. Dopo un’iniziale permanenza nel centro di prima accoglienza per i profughi di San Sabba a Trieste, trascorse mesi e anni in Italia, dapprima nel centro di raccolta a Capua e poi a Latina.
Con lui c’era la sua ragazza Anita. Con lei si sposò a Latina e lì nacque anche il loro primo figlio. Finalmente, nel 1958 riuscirono a ottenere il permesso d’immigrazione negli Stati Uniti e dopo 17 giorni di viaggio in nave giunsero a New York. Come molti altri istriani, per anni ha vissuto a Brooklyn e poi si è costruito la casa ad Astoria. Ha fondato la ditta idraulica Adria Plumbing, ha avuto un altro figlio e ha vissuto in una casa piena di ricordi dell’Istria, fino al giugno 2020, quando non è riuscito a sconfiggere un’improvvisa malattia.
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