Si è dovuto aspettare 51 anni affinché, nel 1997, la Città di Pola decidesse (o meglio, si degnasse) di commemorare la più grande tragedia che abbia mai colpito Pola in tempo di pace.
Si è dovuto pazientare per più di mezzo secolo affinché si iniziasse a rendere omaggio alle vittime (ufficialmente 64 morti, ma considerato lo smembramento dei corpi, questo numero potrebbe essere significativamente più alto) che hanno perso la vita esattamente 78 anni fa, mentre trascorrevano una calda domenica di agosto sulla spiaggia di Vergarolla, nel golfo di Pola, senza sospettare minimamente che un'esplosione avrebbe trasformato le nuotate, il pranzo in famiglia all'ombra e i giochi dei bambini sulla spiaggia in un orrore senza precedenti per Pola, più terribile persino dei bombardamenti alleati sulla città. Da quel giorno, Vergarola ha cessato di essere una spiaggia.
Si è dovuto attendere il crollo della Jugoslavia e la fine del comunismo affinché, solo nel 1997, i membri dell'associazione Circolo Istria di Trieste trovassero comprensione in Luciano Delbianco, sindaco di Pola negli anni Novanta e poi presidente della Regione istriana, concretizzando l'idea di commemorare dignitosamente una tragedia rimasta troppo a lungo sconosciuta alla popolazione di Pola e dell'Istria in un monumento posto accanto alla cattedrale di Pola.
La tragedia si è verificata nel 1946, quindi dopo il 1945, anno che in molte narrazioni politiche, storiografiche e antropologiche è spesso considerato l'inizio di tutte le storie di Pola (come se prima non ci fosse stato nulla), eppure le vittime di Vergarola sono state ignorate, come se non si trattasse di cittadini comuni di Pola, persone senza alcun legame con il fascismo o il comunismo. Erano cittadini di Pola la cui morte tragica è stata relegata in quella "storia prima dell'inizio della storia", come se appartenesse a un'epoca che doveva essere dimenticata, possibilmente cancellata dalla memoria collettiva.
Di fronte alla necessità di rendere omaggio alle vittime e di fronte a un ingiustificabile, lungo oblio, è del tutto irrilevante se quelle mine si siano auto-detonate, se si sia trattato di un attentato della polizia segreta jugoslava (Ozna), o se i servizi italiani abbiano compiuto un atto terroristico per incolpare la Jugoslavia e mantenere Pola per sé, che all'epoca era sotto l'amministrazione militare anglo-americana.
Il 18 agosto 1946, sulla spiaggia di Vergarolla si sarebbero dovute tenere le tradizionali gare di nuoto per la "Coppa Scarioni", organizzate dal club di canottaggio "Pietas Julia". La spiaggia era gremita di bagnanti, molti dei quali bambini. Ai margini della spiaggia erano state accatastate - secondo la ricostruzione più accreditata degli eventi - ventotto mine anti-sbarco, per un totale di circa nove tonnellate di esplosivo, considerate inattive dopo la rimozione dei detonatori. Tuttavia, i documenti delle indagini del Tribunale Militare, conservati negli archivi di Londra e utilizzati recentemente per la prima volta nel libro dello storico Gaetano Dato dedicato al massacro, parlano di 15-20 bombe di profondità tedesche, insieme a tre testate di siluri, quattro cariche di tritolo e cinque bombe fumogene.
Alle 14:15 avvenne l'esplosione che uccise sul posto un gran numero di persone. Alcuni rimasero schiacciati dal crollo dell'edificio della "Pietas Julia". Secondo la ricerca di Gaetano Dato, basata su documenti della polizia alleata, del tribunale militare, dei cimiteri di Pola e dell'anagrafe di Pola, furono identificate 65 vittime, i resti ritrovati corrispondevano a 109, 110 o 116 corpi diversi, e 211 persone furono ferite. Quasi un terzo erano bambini o persone sotto i 18 anni. Sembra inoltre che cinque persone siano scomparse senza lasciare traccia.
L'esplosione fu udita in tutta la città e un'enorme nube di fumo fu visibile a chilometri di distanza. I soccorsi furono complessi e caotici, anche perché alcuni corpi furono letteralmente "disintegrati". Questo è uno dei motivi per cui non si è riusciti a determinare esattamente il numero delle vittime, che rimane ancora controverso.
L'ospedale cittadino "Santorio Santorio" divenne il principale punto di raccolta per i feriti: nell'opera di assistenza medica si distinse particolarmente il dottor Geppino Micheletti, che, nonostante avesse perso nell'esplosione i figli Carlo e Renzo, di 9 e 6 anni, il fratello e la cognata, non lasciò il suo posto di lavoro per oltre 24 ore, operando ininterrottamente per 48 ore, salvando la vita di altre persone.
Alla tragedia la giornalista triestina Viviana Facchinetti ha dedicato un video.
Dicevamo precedentemente che solo nel 1997 ha avuto luogo la prima commemorazione. Poi, abbiamo dovuto aspettare altri vent'anni, fino al 13 aprile 2017, per la prima commemorazione congiunta italo-croata delle vittime del massacro. Durante la loro visita in Istria, i ministri italiani degli Affari Esteri Angelino Alfano e della Salute Beatrice Lorenzin (originaria dell'Istria) hanno incontrato a Pola i loro colleghi croati Davor Ivo Stier e Milan Kujundžić, e insieme a loro hanno deposto una corona di fiori sul monumento alle vittime di Vergarolla. In quell'occasione, al dottor Micheletti è stata postuma conferita la Medaglia d'Oro al Merito della Sanità Pubblica della Repubblica Italiana.
Inoltre, solo l'anno scorso, a 77 anni dalla tragedia, per la prima volta i rappresentanti della Città di Pola, della Comunità degli italiani di Pola e dell'Unione Italiana di Croazia e Slovenia, i rappresentanti degli esuli polesani e degli antifascisti istriani hanno tenuto insieme una commemorazione.
Lo stesso avverrà anche oggi. Alle 10:30, una barca partirà dalla riva dalla quale verrà posata una corona di fiori in mare davanti a Vergarolla, alle 12 ci sarà una messa in cattedrale, seguita dalla commemorazione davanti al monumento.
In vista dell'evento, vale la pena ricordare le parole pronunciate l'anno scorso dalla vicepresidente della Regione istriana Jessica Acquavita. All'epoca sottolineò che tutti gli abitanti odierni dell'Istria sono "il frutto di un passato complesso, stratificato, doloroso e spesso scomodo", concludendo che "una ferita comune deve diventare un ponte, non un ostacolo alla convivenza odierna". Ricordiamo anche le parole di Boris Siljan, che a nome dell'Unione dei combattenti antifascisti di Pola ha espresso il suo rispetto e ha detto: "Non accada mai più".