La mafia siciliana uccise il giudice Giovanni Falcone 30 anni fa con una bomba così potente che la detonazione fu registrata dagli allora scienziati che seguivano i terremoti vulcanici sull'Etna dall'altra parte dell'isola.
L'esplosione che fece esplodere parte dell'autostrada nei pressi di Palermo alle 17:56 del 23 maggio 1992 provocò uno shock in tutta Italia. Ma fu anche l'inizio della caduta della mafia.
Furono uccisi il giudice antimafia Falcone, la moglie e tre membri della scorta della polizia.
La mafia mise uno skateboard con 500 chilogrammi di tritolo e nitrato di ammonio in un tunnel dell'autostrada che collega l'aeroporto con il centro di Palermo.
Falcone stava tornando a casa da Roma con una Fiat Croma bianca per il fine settimana.
Mentre un giudice in un convoglio di tre auto stava passando attraverso il tunnel, un mafioso soprannominato "Maiale" da uno scout su una collina sopra il tunnel premo' il telecomando che attivo' la bomba.
L'esplosione fece saltare in aria asfalto, corpi e metallo e l'auto in testa al convoglio volo' per diverse centinaia di metri.
Tre agenti di polizia della prima auto morirono sul colpo.
Nella seconda furono uccisi Falcone, che era al volante, e la moglie sul sedile del passeggero.
L'autista di Falcone, che questa volta si trovava sul sedile posteriore, sopravvisse così come i tre agenti dell'ultima vettura.
Oggi c'è un "giardino dei ricordi" sul luogo dell'incidente. L'olio d'oliva di questo orto viene utilizzato nelle chiese siciliane per ungere i bambini durante battesimi e cresime.
Strage di mafia
Falcone era una vera minaccia per Cosa Nostra, un gruppo criminale organizzato celebrato dalla trilogia del "Padrino" e che vantava l'accesso ai massimi livelli del potere italiano.
Fu lui a raccogliere le prove dei primi informatori di mafia per il processo rivoluzionario in cui furono condannati centinaia di mafiosi nel 1987.
All'epoca del processo era a capo del Dipartimento Criminalità del Ministero della Giustizia a Roma e stava lavorando a un pacchetto di leggi antimafia.
Il suo assassinio sollevo' la nazione in piedi. Il giorno dopo l'attentato, il quotidiano La Repubblica condanno' la "strage mafiosa" con la foto di un giudice baffuto in prima pagina e migliaia di persone protestarono per le strade di Palermo.
Gli occhi di tutti erano puntati su Paolo Borsellino, un'altro giudice antimafia, caro amico e collega di Falcone, che ai primi di luglio di quell'anno disse che il "pericolo estremo" in cui si trovava non gli avrebbe impedito di svolgere il suo lavoro.
A soli 57 giorni dall'attentato con un'autobomba rimase ucciso anche l'amico Borsellino, insieme a cinque membri della scorta della polizia. Solo il suo autista sopravvisse.
A causa dello scoppio dell'indignazione pubblica, lo Stato si mise a caccia del capo di Cosa Nostra Salvatore (Toto') Riina, coinvolto in decine di omicidi durante il ventennale regno del terrore.
Riina fu arrestato il 15 febbraio 1993 in un'auto a Palermo.
Verita'?
Le uccisioni di Falcone e Borsellino "sono state una pessima mossa alla lunga per Cosa Nostra, la cui leadership è stata decapitata da arresti e confessioni di informatori", ha detto all'Afp Vincenzo Ceruso, autore di diversi libri sulla mafia.
Decine di persone furono condannate per aver partecipato a questi omicidi.
Ma Roberto di Bella, ora giudice mafioso presso il Tribunale per i minori di Catania, in Sicilia, ha affermato che "ci sono ancora elementi poco chiari anche se la maggior parte dei partecipanti è stata condannata".
I sopravvissuti ritengono che manchino ancora alcuni pezzi del puzzle e ricordano la convinzione di Falcone che "ci siano collegamenti tra Costa Nostra e i centri oscuri del potere".
"Ancora non sappiamo la verità su chi abbia davvero ordinato l'assassinio di Giovanni Falcone perché non credo che persone ignoranti come Toto Riina possano pianificare un attacco sofisticato come quello di Capaci", Angelo Corbo, una delle guardie del corpo sopravvissute , si legge nel documentario.
Afferma di non essere l'unico a credere che "persone in giacca e cravatta" fossero tra i mafiosi.
L'indagine sui possibili "conduttori segreti" dell'attentato di Capaci è stata però respinta nel 2013.
"Non ci sono prove di aiuti esterni. Non c'è dubbio che la colpa degli attentati sia la mafia", ha affermato l'autore Ceruso.