Anche se il trattato di pace che avrebbe assegnato anche Pola alla Jugoslavia sarebbe stato siglato il 10 febbraio 1947, il 3 gennaio di quell’anno era già nell’aria che la città dell’arena presto si sarebbe trovata sotto una diversa sovranità statale. La Jugoslavia non portava in città soltanto un nuovo governo e una nuova lingua, ma anche un nuovo ordinamento sociale, quel socialismo che si ispirava ancora al marxismo-leninismo che contestava la proprietà privata.
Questa fu la ragione per la quale la famiglia Sansa, originaria di Dignano, aveva deciso di smantellare i macchinari del mulino elettrico, costruito su progetto dell'architetto polese Alberto Turina e inaugurato nel 1939, per portarli a Trieste e conservarne la proprietà. Le trattative sulla vendita del mulino che i Sansa aveva intrapreso con i rappresentanti jugoslavi erano fallite, perciò era stato deciso di trasportare le macchine a Trieste.
Ciò era in pieno contrasto con la situazione politica del momento che vedeva gli antifascisti polesi, italiani e croati, in prima linea per la difesa dei diritti dei lavoratori.
Ecco perchè l’intenzione dei Sansa, legittima dal punto di vista giuridico, dai Polesani che non erano intenzionati a intraprendere la strada dell’esodo venne percepita come un grosso affronto per la classe operaia.
Quel 3 gennaio gli antifascisti e gli operai polesi accorsero in massa di fronte al mulino e la manifestazione degenerò quando gli insorti notarono che i macchinari erano già stati imballati sui camion. Negli scontri con la polizia anglo-americana, i cosidetti “bacoli neri”, vennero incendiate due motociclette, la polizia aprì il fuoco e rimasero colpiti tre dimostranti: Mario Lussi, Antonio Salgari e Lino Mariani, mentre i feriti furono 16, oltre a 9 poliziotti.
Il tragico fatto va contestualizzato nel momento storico e politico di allora e anche dopo 76 anni è giusto ricordare il gesto dei polesi caduti e la tensione etica che li animava in quel momento. Anche oggi, una delegazione delle associazioni degli antifascisti di Pola ha reso omaggio e alle tre vittime: presenti pure i rappresentanti del Sindacato dell’Istria, Quarnero e Dalmazia e il vicesindaco di Pola Bruno Cergnul.
Cio che non si ricorda è che il giorno dopo, un'altra triste notizia colpì gli operai di Pola. La direzione del Cantiere navale Scoglio Olivi, in base alle conclusioni prese dall'assemblea straordinaria dei suoi soci, informò tutti gli operai che con il 4 gennaio terminava il loro lavoro e tutti venivano licenziati, mentre alla società seguiva la liquidazione. Vennero così formate le "guardie operaie" con lo scopo di proteggere il macchinario da possibili asportazioni.
Segnaliamo infine anche una preziosa testimonianza di Romana Sansa in cui tra l’altro si legge: “Quando a Pola mi chiedono chi sono io rispondo: "Mi son Romana Sansa de quei del mulin".
Da ricordare che la società artistico-culurale della Comunità degli Italiani di Pola porta il nome di Lino Mariani.