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Ospite alla fiera del libro di Pola, Milo Manara ci ha concesso un'intervista in cui, tra l'altro, ha detto: "l’erotismo dei miei fumetti si proponeva come fatto culturale, alcune donne mi hanno ringraziato per averle aiutate a conquistare nuovi spazi di libertà * La bellezza presente nei disegni di Manara, per sua stessa ammissione è di matrice neoplatonica, di quel neoplatonismo per il quale" il disegno dell’arte figurativa deve rappresentare l’idealità, non solo quella la classicità greca, ma anche quella dei neoplatonici rinascimentali. Botticelli, Raffaello dipingono delle finestre su di un mondo ideale" e dunque bello....
Ospite alla fiera del libro di Pola, Milo Manara ci ha concesso un'intervista in cui, tra l'altro, ha detto: "l’erotismo dei miei fumetti si proponeva come fatto culturale, alcune donne mi hanno ringraziato per averle aiutate a conquistare nuovi spazi di libertà * La bellezza presente nei disegni di Manara, per sua stessa ammissione è di matrice neoplatonica, di quel neoplatonismo per il quale" il disegno dell’arte figurativa deve rappresentare l’idealità, non solo quella la classicità greca, ma anche quella dei neoplatonici rinascimentali. Botticelli, Raffaello dipingono delle finestre su di un mondo ideale" e dunque bello....
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Le prime giornate dell’edizione di quest’anno della Fiera di libro di Pola hanno avuto per protagonista il notissimo autore di fumetti Milo Manara. Classe 1945., Manara è considerato uno dei maggiori fumettisti al mondo, con una carriera che vanta collaborazioni con i grandi nomi della cultura, da Federico Fellini a Pedro Almodovar, dal grande giornalista italiano Enzo Biagi, con il quale ha realizzato una “Storia d’Italia a fumetti”, al collega Hugo Pratt, padre di Corto Maltese.
Protagonista attivo di quella stagione culturale che, a partire dal 1968, ha prodotto un grande cambiamento dei costumi sociali introducendo un nuovo senso di libertà, Manara è noto a livello internazionale anche per aver sdoganato l’erotismo nel mondo del fumetto: un erotismo che, fondandosi su di un bel disegno, diventava socialmente accettabile e, per certi versi, liberatorio.
In questi giorni a Pola Manara non si è risparmiato, regalando agli organizzatori e al pubblico momenti di disponibilità, pensiero critico e creatività artistica, dispensando frasi da incorniciare, raccontando aneddoti e realizzando, di fronte al pubblico, un disegno in cui sopra al riferimento testuale alla Fiera di Pola, ad un gabbiano, alle nuvole e al mare, compare il suo marchio di fabbrica, un bellissimo volto di donna, probabilmente, ma non necessariamente, quello di Miele.
Manara, a Pola, ha esordito alla grande. “Ho cercato la pace ovunque, non l’ho trovata da nessuna parte se non in un angolo con un libro”: agganciandosi a questa citazione del monaco cristiano e mistico tedesco Tommaso da Kempis, ma riferendosi anche alla mattanza che in questo momento sta avvenendo a Gaza, Milo Manara ha aperto la Fiera del libro dicendo:” Insomma, se la pace si trova solo in un angolo con un libro, e questo posto è pieno di libri, direi che questo è un luogo di pace, e con questo io dichiarerei aperta questa fiera del libro”.
Al suo primo appuntamento con i lettori di Pola, Manara ha spiegato la genesi della prima parte del suo fumetto (la seconda dovrebbe uscire nel 2025) “Il nome della rosa”, tratto dall’omonimo e celebre romanzo di Umberto Eco, pubblicato dall’editore Oblomov in collaborazione con “La nave di Teseo”, la casa editrice fondata dallo stesso Umberto Eco.
Spiegando che il progetto è nato per volontà dei figli di Eco, Manara ha precisato che nel fumetto ha inserito esclusivamente frasi scritte da Umberto Eco, senza aggiungere nemmeno una parola. Già in sede di apetrura della fiera Manara aveva detto: “Sono orgoglioso di essere qui con voi, anche perché questa è una fiera del libro, mentre io sono un fumettaro, per cui questa fiera vuole essere anche un omaggio ai fumetti, e quindi le sono grato a nome di tutti i fumettari e del fumetto in genere”; ebbene, nel corso dell’incontro con i lettori, ha voluto spezzare un’ulteriore lancia a beneficio del fumetto, citando proprio Umberto Eco che ebbe a scrivere: “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”.
Nel corso della conferenza stampa di sabato Manara ha raccontato le proprie esperienze artistiche con due grandi della cultura italiana e mondiale, Federico Fellini e Hugo Pratt, il primo presentato come “padre”, il secondo come “fratello. Su soggetto e testi di Fellini Manara ha disegnato due fumetti, “Viaggio a Tulum” e “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet”. Nel primo le fattezze del personaggio principale sono quelle di Marcello Mastroianni, nel secondo quelle di Paolo Villaggio, entrambi due grandissimi attori italiani.
“Fellini era molto rispettoso, forse vedeva in me un po’ di se stesso da giovane, perché anche lui all’inizio della sua carriera disegnava fumetti satirici comici sulla rivista Marc’Aurelio. Tuttavia voleva avere tutto sotto controllo, disegnava lo story-board, voleva vedere tutti i miei disegni prima della pubblicazione, anche correggendoli. Per me è stata una grande scuola, anche se certamente molto severa”.
D’altra parte il rapporto con Hugo Pratt fu diverso. Nel 1983, su testi di Hugo Pratt, ispirati dal romanzo “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawtorn, Manara disegnò “Tutto ricominciò da un’estate indiana”, un fumetto considerato uno dei massimi capolavori di Manara e una delle più belle opere del fumetto italiano. “Con Pratt mi legava una grande amicizia”, ha raccontato Manara, “lui era pieno di idee, ma ha sempre rispettato il mio ruolo di disegnatore, non hai mai voluto vedere i miei disegni prima della pubblicazione”.
Nel corso della conferenza stampa Manara ha ricordato pure quanto siano cambiate le tematiche d’interesse per il fumetto italiano negli ultimi decenni. “In Francia gode ancora di ottima salute il fumetto d’avventura, che in Italia non esiste più. Da noi le tematiche sono quelle intimistiche e personali, riguardano il rapporto tra genitori e figli, tra omosessuali e eterosessuali”, ha detto. Per quel che riguarda gli autori italiani delle nuove generazioni Manara ha speso parole di lode per Manuele Fior e Paolo Bacilieri.
Anche in sede di apertura della mostra “Tra fumetto, letteratura e cinema”, presso lo spazio espositivo dei Sacri Cuori, Manara ha condito la serata con informazioni di notevole interesse. “Dovete sapere”, ha detto nell’occasione “che tutti questi disegni sono stati fatti con inchiostro che ho diluito con acqua per ottenere tutti quei mezzitoni, tutte quelle sfumature, perché tra il chiaro e lo scuro doveva esserci molto altro. I miei disegni li realizzo sempre in bianco e nero. Mia figlia Simona sa lavorare bene con il computer, è lei che colora quei disegni al computer. I miei originali non sono mai a colori."
Poi in relazione all’erotismo, ha precisato: “tra Eros e Thanatos scelgo Eros”.
Infatti, tutta la produzione di Manara appare come un inno alla vita, così come vitale, curioso, ma estremamente disponibile e, per certi versi, anche modesto, è questo grande artista che, dopo una passeggiata per Pola, avvenuta nel corso di una soleggiata ma fredda mattinata, ha voluto concederci un’intervista.
Nel corso del suo primo incontro con il pubblico della fiera di Pola ha raccontato che sua madre era un’insegnante di scuola che vietava agli alunni di leggere i fumetti perché dovevano imparare a leggere e a scrivere, non a guardare le figure e i disegni. Ma allora, lei in che modo si è avvicinato al fumetto?
Da ragazzino ho avuto contatti molto sporadici con i fumetti, mi ricordo che lessi un fumetto di Caprioli (Franco Caprioli, uno dei maggiori fumettisti italiani del secolo scorso n.d.r.) intitolato “Dakota Jim e il cowboy verde”, ma sono venuto a saperlo soltanto molto dopo che era di Caprioli. Inizialmente leggevo libri, le mie prime letture sono state quelle classiche, Emilio Salgari e soprattutto Mark Twain, ero innamorato di Huckleberry Finn. Il primo fumetto vero che ho letto con molto interesse e grande curiosità è stato “Barbarella”, fumetto di fantascienza ideato dal francese Jean-Claude Forest. Quello è stato un momento fondamentale perché è da lì che è nata l’idea di disegnare fumetti, è nata la convinzione che non avrei fatto altro che fumetti.
Nel mondo del fumetto, non sempre la bellezza estetica è criterio di qualità. I suoi fumetti sono fumetti di qualità, ma accompagnati da un disegno molto bello. Per ricollegarci a Umberto Eco che scrisse una “Storia della bellezza”, cos’è per lei la bellezza?
La bellezza è un concetto complesso. Faccio un esempio. C’è un quadro molto noto, “I mangiatori di patate” di Van Gogh, che rappresenta una scena di povertà e miseria, i colori sono sul marrone, non sono i colori del Van Gogh dei Girasoli della Notte stellata, quindi tecnicamente possiamo dire che si tratta di un dipinto che rappresenta la bruttezza ed è fatto con la bruttezza, però noi diciamo che è un quadro bellissimo. La bellezza non è certamente il soggetto, non è neanche l’aspetto. Quando noi diciamo “quella è una bella persona” probabilmente ci riferiamo ancora al concetto greco per cui bello è anche buono.
Comunque i suoi disegni sono anche belli da vedere.
Sarà perché non vengo dal fumetto, vengo dall’Accademia, dalla scuola in cui si doveva disegnare dal vero e il disegno era di tipo classico, tradizionale, di tipo neoplatonico. Era questo che s’insegnava alla mia epoca. Poi dipende da ogni autore, ognuno ha un proprio modo di esprimersi cio che egli considera bellezza. Il disegno di Hugo Pratt certamente non è accademico, ma è certamente meraviglioso.
Marlon Brando, Paolo Villaggio, Marcello Mastroianni, James Dean, Senta Berger… Come mai per i personaggi dei suoi fumetti è ricorso spesso alle fattezze di attori del cinema?
Nel caso di Mastroianni perché me lo aveva chiesto proprio Fellini. Io avevo intenzione di dare al protagonista le sembianza di Fellini. In “Viaggio a Tulum” si racconta la storia di un viaggio che Fellini ha effettivamente fatto, era una viaggio per trovare le località giuste per girare un film sull’universo magico di Carlos Casteneda. Ma fu Fellini stesso a dirmi “no, non disegnarmi Milone, perché poi ci saranno delle scene in cui il protagonista si vedrà nudo e …e poi tu mi fai troppo bello”. Infatti, in questa mia tendenza, diciamo neoplatonica, diventa chiaro che provengo dalla scuola per cui il disegno dell’arte figurativa deve rappresentare l’idealità, non solo quella la classicità greca, ma anche quella dei neoplatonici rinascimentali. Botticelli, Raffaello dipingono delle finestre su di un mondo ideale, che fa riferimento appunto al mondo delle idee platoniche, al mondo dell’iperuranio. Infatti, mi è stato detto spesso che io ho questa tendenza ad abbellire.
A James Dean era ispirato il personaggio di Chris Lean ed era stato lo sceneggiatore a chiedermelo espressamente. Devo dire anche che il primo fumetto che ho disegnato, che si chiamava Genius, prima di essere un fumetto era stato un fotoromanzo e l’editore mi aveva chiesto di mantenere le stesse fisionomie del fotoromanzo, con i tratti delle persone vere che lo avevano interpretato fino a quel momento.
Nel “Nome della rosa” ha evitato anche la trappola Sean Connery
Era necessario sostituire Sean Connery, che aveva interpretato il film di Annaud. Connery è una figura potente, per cui avevo bisogno di un attore che fosse altrettando potente e fosse conosciuto anche al di là del cinema e rappresentasse un’icona assoluta indipendentemente dai film che aveva interpretato. Ecco perché ho scelto Marlon Brando. Inoltre, Marlon Brando corrisponde meglio alla descrizione di Umberto Eco, anche se io penso che lui avesse in mente qualcuno di più simile a Sherlock Holmes. Quando lo descrive, si vede che Eco ha in mente la fisionomia di Sherlock Holmes.
I riferimenti sono chiarissimi: Guglielmo di Baskerville è il Mastino di Baskerville (il terzo romanzo di Arthur Conan Doyle ad avere per protagonista il detective Sherlock Holmes n.d.r.), la scelta del nome William forse richiama anche un po’ Shakespeare. Adso, o Adson, è ovviamente Watson, l’assistente di Sherlock Holmes. Inoltre, la descrizione fatta da Umberto Eco di Guglielmo di Baskerville è più simile a Marlon Brando che a Sean Connery, anche per via del riferimento al naso aquilino. Dicendo questo non metto in discussione, anzi credo che sia stata una scelta molto azzeccata quella di Sean Connery, che oltretutto è Scozzese come Guglielmo. È stata una scelta talmente perfetta che io per prendere immediatamente le distanze sono dovuto ricorrere ad una figura altrettanto carismatica, quella di Marlon Brando.
In relazione alla fase dell’erotismo del suo lavoro, da parte delle donne ha avuto più complimenti o critiche?
Più complimenti, anche recentemente. Alcune donne mi hanno anche ringraziato per averle aiutate a conquistare nuovi spazi di libertà, nuovi territori rimasti a lungo ignoti. Il mio erotismo si proponeva come fatto culturale. Infatti l’erotismo è l’elaborazione culturale del sesso e non è riducibile alla sola sessualità. Proprio come la gastronomia è elaborazione culturale del cibo, del bisogno di alimentarsi.
A guardarsi attorno, sembra di notare il che il politically correct oggi ci abbia condotti verso un neomoralismo reazionario. Lo crede anche lei?
Certo che lo credo, eccome. Non solo il politicamente corretto, ma anche il fatto di trovarci in società sempre più multireligiose che ci porterà fatalmente verso una chiusura per non urtare alcune sensibilità. Io oggi certamente non farei più alcuni dei fumetti che ho realizzato in passato. Quando negli anni Ottanta ho disegnato “Il gioco” (“Klick” n.d.r.) c’era un senso vertiginoso di conquista di libertà, della possibilità di disegnare qualsiasi cosa, e io non mi sono tirato indietro. Ho rappresentato tutto un ventaglio di situazioni, perversioni comprese, facendole apparire accettabili. Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione in odor di censura e io sono contrario a tutte le censure.
Con Il nome della rosa di Eco e Gulliveriana tratta da Swift siamo nel mondo della letteratura, con Fellini e Almodovar collabora con registi cinematografici. Sembra attratto da una commistione di espressioni artistiche.
C’è una contiguità evidente, la parentela è molto più stretta tra fumetto e cinema piuttosto che tra fumetto e arte figurativa. Se pensiamo al cartone animato, ecco che abbiamo l’anello di congiunzione tra fumetto e cinema. Direi che l’arte figurativa sia quasi l’opposto del fumetto. Nell’arte figurativa, più che il soggetto conta il modo in cui viene rappresentato un certo soggetto, il soggetto diventa ad un certo punto ininfluente tanto che Kandinsky decide di eliminarlo, mantenendo solo il modo, il fare, il “come”, non il “cosa”.
Nel fumetto capita esattamente il contrario, è fondamentale vedere cosa stia succedendo nelle varie vignette, perché la dimensione fondamentale del fumetto è quella narrativa. Poi il modo di presentare la storia, o il modo più efficacie per rappresentare una certa immagine varia tra i vari autori, ma è fondamentale vedere cosa sta succedendo, il soggetto di ogni vignetta è la base di tutto. Per cui non c’è una parentela con l’arte.
Sbagliano quelli che giudicano il fumetto con lo stesso metro con cui si giudica l’arte figurativa. Io, addirittura, non attribuisco una grande importanza al bel disegno, ringrazio quando mi dicono che faccio dei bei disegni, ma quello che è il mio obiettivo, che qualche volta sono anche riuscito a raggiungere, è che quando si chiude il libro alla fine dell’ultima pagina il lettore possa dire “che bella storia”, non “che bel disegno”. Il disegno nel fumetto è essenzialmente narrativo. Ci sono degli autori che si innamorano anche dell’aspetto estetico e grafico proprio dell’arte figurativa, ma non fanno un buon servizio alla narrazione.
Negli ultimi decenni, in alcuni paesi del mondo quali Francia, Belgio e Argentina, il fumetto ha smesso di essere intrattenimento per entrare a pieno titolo nel mondo della cultura. Nel frattempo la cultura ha smesso di essere interessante al mainstream, è uscita, ad esempio dalle pagine dei quotidiani. Eppure, abbiamo ancora bisogno di cultura.
La cultura è la nostra spinta primordiale, la cultura viene prima della politica. Qualsiasi nostra scelta è una scelta di tipo culturale, addirittura anche quando scegliamo il partito politico da votare, la nostra preferenza dipende dalla nostra cultura. La cultura è parte della nostra essenza. Umberto Eco l’ho frequentato abbastanza poco, ma una volta ebbi modo di chiedergli cosa pensasse della cultura televisiva. Io dicevo ingenuamente che la TV non fa cultura. Lui invece mi rispose con una frase che non dimenticherò mai: “la televisione fa sempre cultura, anche quando trasmette la pubblicità”. Ed è proprio lì la tragedia, il dramma. Anche la cultura sbagliata è sempre cultura.
A proposito di Argentina mi viene in mente Héctor Germán Oesterheld, l’ autore di Eternauta, la cui saga era una metafora della dittatura allora vigente nel paese sudamericano. È stato uno dei più grandi sceneggiatori argentini. Stiamo parlando di un desaparecido, l’hanno prelevato lui e tutta la sua famiglia, da lì si capisce quanto il fumetto faccia cultura, anche a sua insaputa.
Quando a Umberto Eco chiesero se l’editoria digitale avrebbe segnato la fine del libro, lui rispose così: “Ci sono oggetti che, una volta inventati, non cambiano più la loro forma perché la loro utilità è evidente. Uno di questi oggetti è il cucchiaio, l’altro è il libro”. Questa cosa potrebbe valere anche per il fumetto, specie se si tiene conto del fatto che il fumetto è fondamentalmente un libro?
Io ho una convinzione mia, cioè che gli esseri umani, i bambini quando nascono, una delle prime cosa che fanno per entrare in comunicazione con il mondo è disegnare. È commovente l’idea che la nostra stirpe Homo Sapiens sia nata disegnando. L’Uomo di Neanderthal non disegnava. Penso che il disegno sia una forma primordiale di comunicazione e lo vediamo nelle meraviglie disegnate nelle caverne come lo vediamo oggi disegnando fumetti, ripetendo gli stessi identici gesti dei disegnatori di ventimila anni fa. Credo che il fumetto, sia in quanto libro, ma sia in quanto disegno, in quanto narrazione disegnata, rimarrà connaturato al genere umano.
Se le dico Istria, qual è la prima cosa che le viene in mente
Le traversate in barche partendo da Chioggia, vedere comparire il profilo dell’Istria era una grande gioia d’inizio vacanze. E poi in mare, all’altezza dell’Istria mi accadde un bel episodio. Stavo al timone, sentii uno strano rumore, mi girai e vidi prima un dorso nero sott’acqua, poi il mare riempirsi improvvisamente di delfini. Probabilmente ci sarà stato un banco di sardine. Mi era già capitato di vedere i delfini da vicino nell’Egeo, ma non mi era capitato nell’alto Adriatico. E per questo che i delfini li collego con l’Istria.
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