Chiunque dovesse trovarsi in questi nel centro di Capodistria non potrebbe fare a meno di notare una scena sorprendente, un dettaglio che sembra far parte di una scenografia urbana incompiuta o in fase di smontaggio. Si tratta di tabelle, 38 tabelle che negli ultimi sei anni indicavano gli odonimi storici capodistriani e che il 23 agosto sono state capovolte, oscurate.
Essendo Capodistria una delle città di tutta l’Istria in cui la presenza veneta, o italiana, che dir si voglia, è stata, nel corso della storia, fino al 1945, quasi assoluta, gli odonimi che compaiono in queste tabelle sono italiani o dialettali istroveneti. E non si tratta di odonimi relativi al periodo della sovranità italiana sull’Istria, quello del fascismo che cambiava e italianizzava i nomi, ma risalgono bensì alla cosiddetta "lista Martissa" del 1884, entrata in vigore nel 1905, durante l'Impero Austro Ungarico. Si parla dunque di semplice e preziosa eredità storica, non di nomi che derivano da imposizioni politiche e, come ha spiegato il vicesindaco di Capodistria Mario Steffé, “non improntate dall’irredentismo e dal nazionalismo italiano”. Si tratta dunque di patrimonio storico locale che, con il sostegno del sindaco e del vicensindaco di allora, Boris Popovič e Alberto Scheriani, nel 2018 il Consiglio comunale di Capodistria ha accolto dando il via libera alla posa di questa tabelle.
Eppure questi nomi hanno dato fastidio a qualcuno, certamente non sono piaciuti ai frati francescani che non hanno voluto dare il consenso per affiggere la tabella con l’odonimo storico sul muro esterno del convento, dopodiché nel 2022 qualcuno ha denunciato il fatto al Ministero della Cultura affinché queste tabelle venissero tolte o sostituite con versioni tradotte in sloveno, nonostante, anche nell’opinione di linguisti sloveni (Suzana Todorović, Vesna Mikolič), questi odonimi fossero di fatto intraducibili. Ad esempio, accanto all’odonimo Campo della Madonnetta dovrebbe comparire, anacronisticamente, la traduzione “Njiva male Marije".
Un decreto legittimo ma politicamente e culturalmente opinabile
Alla denuncia è seguita l’ispezione che ha prodotto un decreto dell’ispettorato del Ministero della cultura slovena che impone la rimozione delle tabelle in quanto non conformi ai dettami della legge sull’uso pubblico della lingua slovena.
Qui è d’obbligo precisare che non si tratta delle tabelle con l’indicazione delle vie e piazze odierne, che sono e rimangono bilingui, in quanto questo diritto al bilinguismo è garantito dalla stessa Costituzione slovena, ma di tabelle aggiuntive con le quali si dava il contributo al ripristino dell’identità storica di Capodistria. Ad esempio, accanto al nome attuale Titov Trg – Piazza Tito compariva anche quello del 1884 - “Piazza del Duomo”.
Va precisato inoltre che la decisione dell’Ispettorato, per quanto possa essere percepita come un inopportuno ingresso di un elefante in cristalleria e per quanto possa essere lesiva del rispetto dell’identità locale, è, pur nel suo essere fondamentalmente burocratica, del tutto legale. Ma è legale nell’applicazione di una legge, quella sull’uso pubblico della lingua slovena, non adatta al riconoscimento delle identità locali e poco conforme alle spirito della costituzione e delle altre leggi che regolano i diritti della Comunità nazionale italiana in Slovenia.
Conscio sia della legalità del Decreto dell’ispettorato, ma al contempo anche della sua portata turbativa rispetto alla realtà locale, il sindaco di Capodistria Aleš Bržan il 20 agosto ha deciso di compiere un gesto un che si colloca a metà strada tra la necessità di rispettare gli atti che derivano dalle leggi, quello, cioè, di nascondere gli odonimi storici monolingui – e quasi quasi la disobbedienza civile, optando per l’azione dimostrativa di non togliere, bensì di capovolgere le tabelle e di lasciarle, così rivoltate, come simboliche pietre tombali, al loro posto.
La cancellazione dell’identità collettiva
“L’immagine degli addetti comunali che “rivoltano” le targhe con gli odonimi storici, esponendo la parte retrostante, nuda, priva di scritte, è scioccante”, ha scritto per La Voce del Popolo il giornalista Ezio Giuricin, “una scena altamente simbolica per la sua valenza negativa, il segno di una sconfitta per tutti. È il simbolo della “tabula rasa”. La “cancellazione” di un messaggio della storia, di una parte della nostra identità collettiva, per lasciare il silenzio della memoria rappresentato da una targa senza segni, muta, oltraggiata. Un vergognoso “vuoto” indicante la mancanza di cognizioni sulla propria storia, sul proprio presente, il proprio futuro”.
“Il mio nome è Aleš Bržan, non sono Alessio Bersani. Il vice sindaco è Mario Steffé non Marjan Stefančič. E così anche il Campo della Madonnetta era Campo della Madonnetta nel 1884, periodo al quale risalgono gli odonimi della lingua parlata all’epoca a Capodistria”, ha detto il sindaco di Capodistria Aleš Bržan che ha aggiunto: “È un atto ostile contro la nostra identità, in segno di protesta abbiamo deciso di non toglierle, ma di capovolgere nella speranza che si giunga a una soluzione nel più breve tempo possibile e mi auguro che questa volta ci lavorino seriamente”.
Il presidente della Comunità autogestita della nazionalità italiana (CAN) Costiera Alberto Scheriani non condivide la decisione del sindaco, sostenendo che il capovolgimento delle targhe non sia un segno di protesta, ma sia una resa. "Esprimiamo la nostra più grande preoccupazione per quanto è successo”, ha detto Scheriani, “noi crediamo innanzitutto che in un mondo moderno, in una società moderna come indubbiamente lo è la società slovena, qualcosa del genere non doveva assolutamente succedere”.
Scorre su una simile falsariga anche l’opinione di Clio Diabaté, consigliere italiana presso la Comunità locale “Centro” di Capodistria: “Ho compreso le spiegazioni che ha dato il sindaco”, ha dichiarato a Radio Capodistria, “ma io avrei avviato un braccio di ferro con i burocrati lubianesi, mi sarebbe piaciuta vedere anche una protesta in piazza, sia connazionali sia altri cittadini sloveni, ce ne sono tanti che abbracciano questa causa.
“Purtroppo una testimonianza storica e culturale a beneficio di tutta la Comunità è ostaggio di una decisione da burocrate d’ufficio, mi riferisco all’ispettorato, che interpreta a piacimento una normativa di legge”, ha detto il Presidente della Commissione comunale per la toponomastica Damian Fischer per il quale quanto avvenuto sarebbe il frutto di una “decisione arbitraria”.
Deluso dal Ministero che a fronte delle numerose alternative e compromessi proposti non ha individuato una soluzione, il sindaco Bržan ha informato che Il Comune ha inviato un appello scritto alla Presidentessa della Repubblica Nataša Pirc Musar e al premier Robert Golob affinché venga individuata una soluzione funzionale al ripristino. Anche il deputato degli Italiani di Slovenia al parlamento di Lubiana Felice Žiža ha chiesto alla Presidentessa e al premier, " logicamente limitato a quelle che sono le loro competenze, un loro intervento diretto sul ministero della Cultura e sull'ispettorato affinché non venga più richiesta la traduzione dei nomi originali degli odonimi di piazze, piazzette, vie, calli, callette del Comune di Capodistria e di tutti gli altri comuni costieri".
A ben vedere, rimediare per vie imposizione d'autorità politica a un atto amministrativo, per quanto questo possa essere inadeguato, non sembra la strada migliore per trovare una soluzione nel rispetto della legalità. Lo ha notato anche la presidente della Comunità autogestita della nazionalità italiana (CAN) di Capodistria e consigliera comunale Roberta Vincoletto la quale, pur non condividendo la decisione del sindaco di capovolgere le tabelle, ha detto di comprenderlo in quanto deve garantire la legalità.
Sarà necessario intervenire sulla legge sull’uso ufficiale della lingua slovena
Per porre rimedio a quello che, stando a TV Capodistria, per la Comunità nazionale italiana capodistriana “ è un’autentica sciagura, trattandosi dell’ennesima cancellazione della storia e delle tracce che ne testimoniano la presenza secolare sul territorio”, sembra chiaro che sarà necessario intervenire sulla legge. Lo hanno capito i deputati del partito Movimento Libertà (Gibanje Svoboda) – quello del Premier Robert Golob – Tamara Kozlovič, Andreja Živic e Robert Janev che ieri hanno presentato alla ministra della Cultura Asta Vrečko un'iniziativa parlamentare per la preparazione di alcune modifiche alla legge sull'uso pubblico della lingua slovena. La deputata capodistriana e segretaria generale del suo partito Tamara Kozlovič ha dichiarato che „non è il momento di cercare i colpevoli ma di trovare una soluzione”. Ha precisato che la Slovenia è uno stato di diritto, pertanto se un ispettore interpreta le leggi alla lettera non fa altro che il suo lavoro. Il compito dei deputati è quello di modificare le normative mettendolo al passo con i tempi. Se non sarà il Ministero alla cultura a proporre modifiche di legge lo farà il partito Movimento libertà sperando di trovare sostegno anche nei partner di coalizione. Questa targhe rappresentano una parte della nostra ’eredita culturale.”
Capodistria - foto: Wikipedia
“Oggi è un triste giorno, non soltanto per la Comunità Nazionale Italiana ma anche per il Comune di Capodistria e tutti i suoi abitanti” è stato il commento del vicesindaco di Capodistria Mario Steffé, “vengono vanificati i propositi di un progetto, a mio modo di vedere, lungimirante del Comune che si proponeva proprio di promuovere quella che è una sua ricchezza, la ricchezza di un territorio multilingue”.
Tabelle capovolte che comunicamo un vuoto etico
Deluso anche il presidente dell’Unione Italiana Maurizio Tremul: “La decisione dell’Ispettorato per la cultura relativamente alla collocazione delle targhe con i toponimi storici a Capodistria, ancorché (forse) legittima proceduralmente, giuridicamente lascia perplessi. Il danno politico e morale prodotto è incommensurabile. Le targhe con i toponimi storici collocate al contrario, con il vuoto etico che comunicano, sono la pietra tombale sulla presenza storica, autoctona, degli Italiani in queste terre? È la devastante sconfitta della ragione e della politica nella sua accezione più alta e nobile. Impariamo dai vicini che, in questo campo, sono più virtuosi: da Buie e Valle, con i toponimi italiani diventati nomi ufficiali delle vie e piazze (senza traduzioni antistoriche e storicamente false!).
Segnaliamo che, a differenza di quanto avviene in Croazia, in Slovenia non esiste una legge sull’uso pubblico delle lingue delle minoranze nazionali.
Comunque, ora è chiaro che un problema locale, capodistriano, si sta riverberando a livello nazionale e ciò potrebbe ridurre i tempi di soluzione del caso.